Cristo presente nell’Eucaristia

San JosemaríaÈ ancora Cammino che c’introduce a meditare il mistero per eccellenza del Cuore di Gesù, la Presenza eucaristica. E vogliamo dare subito un testo che ci sembra il più originale e che non abbiamo letto in nessun autore, teologo o edificante che sia. Si tratta che Gesù si trova più umiliato sotto i veli eucaristici che sul Calvario: “Umiltà di Gesù: a Betlemme, a Nazaret, sul Calvario… – Ma la sua umiliazione e il suo annichilimento sono maggiori nell’Ostia Santissima: più che nella stalla, che a Nazaret, che sulla Croce. Perciò, quanto sono obbligato ad amare la Messa! (la “nostra” Messa, Gesù…)” (n. 533). “Egli è lì: il Re dei Re, il Signore dei Signori. – È nascosto nel pane. – Si è umiliato sino a questo estremo per amor tuo” (ibidem, n. 538).

E, ricordando la fede dell’emorroissa che era stata guarita da Gesù toccando appena il lembo della sua veste, commenta: “Noi lo possediamo per intero. Si è dato a noi totalmente, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Ce ne alimentiamo ogni giorno, gli parliamo intimamente, come si parla al proprio padre, come si parla all’Amore. E tutto questo è proprio vero, Non è immaginazione” (Amici di Dio, n. 199). Per questo consiglia caldamente le devozioni eucaristiche (ricorda le solenni processioni col Sacramento in gioventù a Saragozza), l’assistenza alla santa Messa e invita alla visita “al Tabernacolo, facendo compagnia a Colui che vi si è stabilito per Amore […], convinti che dal Tabernacolo Gesù ci vede, ci ascolta, ci attende e ci presiede, perché Egli è là, realmente presente, nascosto sotto le specie sacramentali” (ibidem, n. 249).

La breve omelia sul Corpus Domini del 1964 prende l’avvio dalla parabola del seminatore per esortare tutti, i cittadini della società ecclesiale e di quella civile, a svolgere ciascuno le proprie attività quotidiane santificando il lavoro professionale e i doveri del proprio stato. Per questo vuole che prendiamo “coscienza della nostra missione di cristiani” e volgiamo “lo sguardo alla Sacra Eucaristia, a Gesù che, presente in mezzo,a noi, ci ha costituiti Sue membra: Vos estis Corpus Christi et membra de membro (1 Cor 12, 27), voi siete il corpo di Cristo e membra unite ad altre membra. Il nostro Dio ha deciso di rimanere nel tabernacolo per essere nostro alimento, per darci forza, per divinizzarci, per dare efficacia al nostro lavoro e al nostro sforzo” (È Gesù che passa, n. 151).

E ricorda in Cammino: “Quando ti avvicini al Tabernacolo pensa che Lui… ti aspetta da venti secoli” (n. 537). Ancora: “Mi piace chiamare il Tabernacolo carcere d’amore! – Da venti secoli Egli è lì… volontariamente prigioniero!, per me, e per tutti” (Forgia, n. 827). E con altrettanto slancio: “II miracolo costantemente rinnovato della Sacra Eucaristia ha in sé tutte le caratteristiche proprie dell’agire di Gesù. Perfetto Dio e perfetto Uomo, Signore del Cielo e della terra, Egli si dona a noi per essere sostentamento nel modo più naturale e comune. Attende il nostro amore da quasi duemila anni. È tanto, ma è poco, perché quando c’è amore il tempo vola” (È Gesù che passa, n. 151).

A questo proposito ricorda la leggenda, riportata da Alfonso il Saggio, di quel monaco che ottenne dalla Madonna di poter contemplare il Cielo anche per un solo istante, ma ciò che a lui era sembrato un istante era invece durato tre secoli: “Tre secoli sono un nonnulla per un cuore innamorato. Io mi spiego allo stesso modo i duemila anni di attesa di Gesù nell’Eucaristia” (ibidem). E si diffonde a commentare i mirabili inni di san Tommaso per la festa del Corpus Domini: “II cristiano, confortato dalla nuova e definitiva manna dell’Eucaristia, pregusta già ora la felicità eterna. Le cose vecchie sono passate: e per noi, abbandonato ciò che è caduco, tutto sia nuovo: Il cuore, le parole, le opere (38). È questa la Buona Novella. È novità, conoscenza nuova, perché ci parla di una profondità d’amore che prima non sospettavamo neppure. Ed è buona, perché non c’è niente di meglio che unirci intimamente a Dio, Bene di tutti i beni. È Buona Novella, perché in modo ineffabile ci preannuncia l’eternità” (ibidem, n. 152).

Non teme perciò di affermare che “nell’Eucaristia Gesù ci da la garanzia fedele della sua presenza nelle nostre anime, della sua potenza che sostiene il mondo, delle sue promesse di salvezza, grazie alle quali la famiglia umana, quando verrà la fine dei tempi, abiterà per sempre nella dimora del Cielo, in seno a Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo: Trinità Santissima e Dio Unico. È tutta intera la nostra fede a essere posta in atto quando crediamo in Gesù e nella sua presenza reale sotto le specie del pane e del vino” (ibidem, n. 153).

Ammira perciò le solenni manifestazioni di pietà eucaristica del popolo cristiano di altri tempi più tranquilli e credenti dei nostri e torna nella fine a raccomandare la visita al SS. Sacramento: “Vi dirò che per me il Tabernacolo è come Betania: il luogo tranquillo di pace dove c’è Cristo, dove possiamo raccontargli le nostre preoccupazioni e le nostre pene, le nostre aspirazioni e le nostre gioie, con la stessa semplicità, la stessa spontaneità con cui gli parlavano i suoi amici Marta, Maria e Lazzaro” (ibidem, n. 153). E confessa che quando viaggiando scopre, anche in lontananza, il profilo di una chiesa è un’occasione perché – come faceva san Francesco d’Assisi (39) – l’anima fugga con il desiderio accanto al Signore nel Sacramento.

Più sviluppata, commossa, dedicata in particolare alla santa Messa, è la omelia-meditazione del Giovedì Santo del 14 aprile 1960, che commenta l’Ultima Cena ancora con il ricorso prevalente agli inni eucaristici di san Tommaso d’Aquino. Escrivá vi considera “l’Eucaristia e il mistero della Trinità” e “la santa Messa nella vita del cristiano” come mezzo principale per realizzare la “intimità con Gesù” (È Gesù che passa, n. 83).

A me sembra fra le più profonde: “Non ama Cristo chi non ama la Santa Messa, chi non si sforza di viverla con calma e serenità, con devozione, con amore” (ibidem, n. 92). E parla di un “flusso trinitario” d’amore per gli uomini che è forse il suo principio teologico più continuo e profondo nell’interpretazione della vita soprannaturale: “Tutta la Trinità agisce nel santo Sacrificio dell’altare […]. Nella Messa la preghiera al Padre si fa costante. Il sacerdote è un rappresentante del Sacerdote eterno, Gesù Cristo, che nello stesso tempo è la Vittima. E l’azione dello Spirito Santo nella Messa è tanto ineffabile quanto vera” perché, ed Escrivá cita qui san Giovanni Damasceno, “in virtù dello Spirito Santo si effettua la conversione del pane nel Corpo di Cristo” (ibidem, n. 85).

Nell’omelia della Pentecoste 1969, su Lo Spirito Santo, il grande sconosciuto (È Gesù che passa, nn. 127 ss.) lo Spirito Santo è presentato come fonte di energia spirituale e principio di santificazione delle anime nella Chiesa ch’è “il sacramento universale della presenza di Dio nel mondo” (ibidem, n. 131 ). Il pensiero spirituale dell’autore è ovunque tanto ricco nei particolari, come nell’insieme, ch’è difficile trovare un punto dominante che eccella sugli altri ma la pienezza della meditazione sullo Spirito Santo non la cede a nessuna.

Note
(37) E si potrebbe anche aggiungere una “rappresentazione del Crocifisso” che si incontra di frequente nelle chiese e pinacoteche della sua grande Spagna.
(38) Inno Sacris Sollemniis di san Tommaso nella Sequenza della Messa della festa del Corpus Domini.
(39) Cfr Vita secondo Tommaso da Celano, c. 152, in “Fonti Francescane” Assisi 1978, p. 713.

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