La vita

 

San Josemaría1. Orme sulla neve
Josemarìa Escrivá nasce il 9 gennaio 1902 nella cittadina di Barbastro, in Spagna, ai piedi dei Pirenei. È il secondogenito di un commerciante di stoffe, José Escrivá, e di Dolores Albás; una famiglia normale, di solide radici cristiane, che presto deve affrontare una serie di aspre prove: dapprima la morte in tenera età di tre sorelline, nate dopo Josemarìa, e quindi il fallimento della ditta paterna. José Escrivá è costretto a cambiare città e a cercarsi un impiego modesto: nel 1915 la famiglia Escrivá si trasferisce a Logrono.

Nel 1917 Josemarìa ha quindici anni, ed è studente di liceo. Nella nuova città non ha tardato a farsi diversi amici tra i coetanei. A scuola dimostra una spiccata predilezione per la letteratura e la storia.

Un mattino d’inverno, durante le vacanze natalizie 1917-18, scorge sulla neve, che nella notte ha ricoperto le vie, ancora immacolata, delle impronte di piedi nudi. Non è difficile risalire a chi le ha lasciate, dato che lo si vede ancora: è padre José Miguel, del vicino convento dei carmelitani scalzi.
Josemarìa resta molto colpito dall’episodio, tanto che si sente personalmente chiamato a essere altrettanto generoso con Dio. Inizia a pregare più intensamente di quanto non facesse prima. È l’età in cui le buone convinzioni ereditate in famiglia si interiorizzano o vanno smarrite: nel cuore di Josemarìa quanto ha appreso dai genitori si salda al nuovo, forte sentimento che Dio va ispirandogli. Prende ad andare a Messa ogni giorno, facendo la Comunione, e medita a lungo sulla chiamata che il Signore può rivolgergli. Che ci sia, ormai non ha più dubbi; ma gli resta oscuro che cosa, in concreto, Dio voglia da lui.

Alla fine prende una decisione: diverrà sacerdote. Molti anni dopo spiegherà così questa scelta: “Perché mi son fatto sacerdote? Perché pensai che in questo modo sarebbe stato più facile compiere una volontà di Dio che non conoscevo. Da circa otto anni prima dell’ordinazione la presentivo, ma non sapevo che cosa fosse, e non lo seppi fino al 1928. Per questo mi feci sacerdote” (1). Si rivolge a Dio e alla Madonna. Gli pare particolarmente appropriata l’esclamazione del cieco Bartimeo, che nel Vangelo invoca Gesù: “Signore, fa’ che io veda!”. E aggiunge: “Fa’ che sia, che si compia la tua volontà! Madonna mia, che sia!”.

Poi va da suo padre e gli comunica la scelta. Per José è un’altra dura prova – aveva altri progetti per l’unico figlio maschio – ma non si oppone al volere di Dio, e anzi agevola in tutti i modi la decisione di Josemarìa.
Questi è dapprima alunno esterno del seminario di Logrono, quindi si trasferirà a Saragozza, nel 1920, per ultimarvi gli studi di teologia. Però non ha dimenticato il dolore paterno, e chiede al Signore di colmare il vuoto che la sua decisione lascia in famiglia. La sua preghiera è esaudita: il 28 febbraio 1919 nasce il fratello Santiago.

Nel 1923, mentre è alunno del seminario di Saragozza, inizia contemporaneamente gli studi di giurisprudenza nell’università statale; anche in questo segue un saggio consiglio di suo padre.
Due avvenimenti, uno doloroso e l’altro lieto, giungono alla conclusione del 1924. Il 27 novembre, d’improvviso, muore suo padre, e il 20 dicembre Josemarìa riceve il diaconato.

Frattanto la sua vita di preghiera si va approfondendo: vive il rapporto con Dio come un colloquio intimo, da figlio a padre, e ha preso l’abitudine di cercare momenti di raccoglimento in cui questo dialogo si alimenta e trova forza, per poi proseguire in ogni istante della giornata, mentre è immerso nelle più svariate attività. È per questa via che verrà la risposta sul suo futuro. Perciò dedica alla preghiera tutto il tempo che gli è possibile, giungendo a passare notti intere in adorazione dell’Eucaristia, dove Cristo stesso “ci aspetta da venti secoli”.

Riceve l’ordinazione sacerdotale il 28 marzo 1925, nella chiesa del seminario, che gli è molto cara per le tante ore di preghiera che vi ha trascorso; celebra la sua prima Messa solenne nel santuario mariano del Pilar, dov’è andato a supplicare la Madonna almeno una volta al giorno da quando vive a Saragozza. Ora è sacerdote, al pieno servizio della Chiesa. Il primo incarico lo porta per alcune settimane a Perdiguera, un villaggio situato ai piedi della Sierra de Alcubierre. Un borgo rurale, meno di mille abitanti. Gente umile, di poche risorse, che però accoglie il giovane sacerdote con grande affetto. Don Josemarìa non dimenticherà la “lezione dello Spirito Santo” ricevuta tramite il figlioletto del contadino che lo ospitava, al quale aveva chiesto che cosa avrebbe fatto se fosse stato molto ricco: “Mi mangerei certi piatti di zuppa col vino!”. Ecco a che cosa potevano ridursi le ambizioni umane: l’unica aspirazione degna della capacità di infinito che pulsa nel cuore dell’uomo è quella di Dio.

Tornato a Saragozza, presta la propria opera come cappellano della chiesa di San Pietro Nolasco; si dedica pure alla catechesi e ad altri compiti pastorali. Inoltre prosegue gli studi di legge e, per mantenere la madre, la sorella Carmen e il fratello Santiago (che abitano con lui), impartisce lezioni private.

Nel gennaio 1927 si laurea in legge. Il 19 aprile si trasferisce a Madrid, con il permesso dell’arcivescovo, per ottenere il dottorato in diritto civile nell’università della capitale. Continua a pregare, e il Signore lo ricambia illuminandolo e confortandolo in più occasioni; però la luce definitiva non arriva ancora. È nominato cappellano del Patronato per i malati, e svolge un’instancabile opera di apostolato: prepara migliaia di bambini alla Confessione e alla Comunione, accudisce malati e invalidi negli ospedali, si dedica alle opere di misericordia nei sobborghi più indigenti di Madrid.

2. L’Opus Dei
II 2 ottobre 1928 il Signore risponde alle sue ripetute invocazioni. Nella quiete della stanza in cui sta svolgendo alcuni giorni di ritiro, nella casa dei Missionari di San Vincenzo de Paoli, a un tratto Josemarìa Escrivá “vede” l’Opus Dei. È un’ispirazione dettagliata, definitiva, precisa, che potremmo riassumere con le parole che pochi anni più tardi trascriverà in Cammino: “Hai l’obbligo di santificarti. Anche tu. – Chi pensa che la santità sia un impegno esclusivo di sacerdoti e di religiosi? A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: “Siate perfetti, com’è perfetto il Padre mio che è nei cieli”” (2).

Un ideale, un messaggio, allo stesso tempo altissimo e rivolto a tutti: uomini di ogni razza, lavoro, età. Lui dovrà essere il messaggero incaricato di ricordare a commercianti e operai, contadini e avvocati, farmacisti e professori, studenti e sportivi che Dio li aspetta proprio lì, nei loro impegni quotidiani. Non è vero quello che molti pensano: che l’impegno negli affari del mondo sia un ostacolo per vivere il cristianesimo. Se fosse così, solo i monaci andrebbero in cielo. No: Gesù, che per darci l’esempio ha lavorato per trent’anni in una bottega, vuole che tutti lo imitino, ciascuno al suo posto. Dio ha grande fiducia negli uomini: li tratta come figli, e dà loro il mondo in mano, come la vigna della parabola, perché lo lavorino e glielo restituiscano migliorato. Questo lo diceva già la Bibbia, lo ripete il Vangelo da venti secoli: perché, allora, in tanti l’hanno scordato?

Don Josemarìa è felice, e al tempo stesso sgomento. Da dove cominciare? “Conoscere Cristo, farlo conoscere; portarlo dappertutto”, annota su un foglietto. Quanto a sé, si sente ben poca cosa, uno “strumento inetto e sordo”. Rievocando quei momenti, dirà in seguito: “Io avevo ventisei anni, grazia di Dio e buon umore: nient’altro. Ma se gli uomini, per scrivere, usano la penna, il Signore si serve della gamba del tavolo, perché si veda che è Lui a scrivere: questa è la cosa incredibile, la cosa meravigliosa”. Dopo attente ricerche si accerta che non esiste alcuna istituzione che si proponga come fine la promozione della santità in mezzo al mondo, attraverso il lavoro ordinano e senza cambiare di stato: gli toccherà aprire la strada. Ma per ora non si preoccupa di strutture: invece avvicina operai e studenti universitari – ne incontra tanti nel suo ministero, in giro per le strade di Madrid – e comincia a sussurrare all’orecchio dell’uno e dell’altro: “Perché non ti dai a Dio una buona volta…, sul serio…, adesso?” (3). Anche il nome dell’impresa a cui si è accinto verrà cammin facendo: a dargli lo spunto è il commento del suo confessore che gli chiede notizie di “quell’opera di Dio”; ecco, si chiamerà proprio così, Opera di Dio, Opus Dei.

Nello stesso periodo, il 14 febbraio 1930, mentre sta celebrando la Santa Messa, Dio gli mostra che anche le donne dovranno far parte dell’Opus Dei: l’invito a santificare la vita quotidiana dovrà essere rivolto anche alla madre di famiglia, all’infermiera, alla giornalista, alla insegnante.

A poco a poco sorgono le vocazioni. Fra i primi a rispondere è un suo vecchio compagno di liceo, ormai ingegnere. Si chiama Isidoro Zorzano, e morrà prematuramente il 15 luglio 1943.
L’ideale che don Josemarìa ha ricevuto è tanto vasto da abbracciare tutto il mondo: non ci si può certo limitare a Madrid. Però “sulla terra tutto ciò che è grande è cominciato piccolo” (4); e intanto, mentre già pensa a tutta la Spagna e al resto dell’Europa, nel dicembre 1933 apre un piccolo centro, che chiama Accademia DYA. La sigla, in spagnolo, sta per “diritto e architettura”; ma lui la traduce volentieri con “Dio e audacia”. Vi si danno lezioni di approfondimento a studenti universitari, e l’ambiente è così accogliente, malgrado l’evidente povertà di mezzi, che quanti lo frequentano vi si trovano come in famiglia. È una caratteristica che l’Opus Dei non perderà mai; il fondatore, che ha imparato la fede dai genitori, sa quanto l’affetto umano avvicini a Dio. È anche per questo che tutti, spontaneamente, si sentono così fratelli tra loro e figli suoi che iniziano con semplicità a chiamarlo “Padre”; l’Opera è una “bella famigliola”, come gli piace dire, e “il Padre” ne sarà sempre il fondamento.

Don Josemarìa ha molto da fare: deve assolvere i molteplici impegni del ministero sacerdotale, da una parte all’altra di Madrid, predicando e amministrando i sacramenti; deve seguire l’Accademia e guidare un numero crescente di uomini e donne sulla strada che Dio gli ha indicato. Le energie non bastano mai. Per questo, e per dare un riferimento costante ai tanti che glielo chiedono, nel 1934 pubblica un libro, che nel 1939 verrà ristampato in edizione ampliata. Si chiamerà Cammino, e oggi, con 250 edizioni e quasi quattro milioni di copie pubblicate, è ormai un classico di spiritualità cristiana, letto e meditato in tutto il mondo da uomini e donne di ogni età.

Contiene 999 punti di meditazione, nei quali ha riversato la sua esperienza sacerdotale. Ogni punto giunge al cuore del lettore con forte incisività, aiutandolo a intrattenere un dialogo con Dio nella vita di tutti i giorni e ad assumersi risolutamente i propri doveri. Il primo punto sintetizza questo programma di vita eroicamente ordinario: “Che la tua vita non sia una vita sterile. – Sii utile. – Lascia traccia. – Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. – E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore”.

La crescita dell’Opera è promettente, ma subisce una brusca battuta d’arresto: il 18 luglio 1936 scoppia infatti la guerra civile che lacera la Spagna per quasi tre anni. A Madrid la furia antireligiosa è tale che i sacerdoti, se riconosciuti, vengono uccisi per la strada. Don Josemarìa, dopo mesi di vita e di predicazione clandestina, deve tentare la fuga. Con pochi compagni intraprende un viaggio a piedi, estenuante e rischiosissimo, attraverso i Pirenei. Il 2 dicembre 1937 varca la frontiera della piccola Repubblica indipendente di Andorra, e quindi giunge a Burgos, città sottratta all’incalzare della guerra. Da qui si preoccupa di raggiungere, tramite lettere o viaggi, tante persone conosciute prima del conflitto (molte delle quali sono disperse lungo il fronte), confortandole ed esortandole a mantenersi salde nella vita di preghiera.

La guerra civile termina nell’aprile 1939; ma quasi contemporaneamente il mondo intero piomba in un altro conflitto. L’espansione all’estero è rimandata fino alla fine della seconda guerra mondiale; ma intanto si consolida quella in Spagna: altri centri dell’Opera si aprono in molte città, e giungono nuove vocazioni; il Padre guida questo sviluppo e al tempo stesso è lieto di constatare che quanti lo hanno seguito per primi si fanno subito carico di trasmettere ad altri, con gioia e senso di responsabilità, il dono che hanno ricevuto. D’altra parte non tutti capiscono quest’ideale nuovo erivoluzionario, che già i primi cristiani vivevano con tanta naturalezza.

Nascono anche forti opposizioni, e c’è chi va dicendo che don Escrivá è un pazzo o un eretico, e che predicando una “santità per tutti”, nella vita di ogni giorno, diffonde un’assurda chimera. Ma l’arcivescovo di Madrid ha preso subito l’Opera sotto la sua protezione; contemporaneamente – a conferma che va diffondendosi la sua fama di sacerdote santo – sono numerosi i vescovi che lo invitano a predicare al clero delle loro diocesi. In una di queste occasioni, il 22 aprile 1941, mentre a Lérida sta dirigendo gli esercizi spirituali di un gruppo di sacerdoti, viene informato che a Madrid sua madre è morta repentinamente.

San Josemaría3. A Roma e nel mondo
Passano gli anni, e l’Opus Dei cresce. Il 23 giugno 1946 don Josemaria si trasferisce a Roma. Nella Città eterna, cuore della Chiesa, scorge la sede più appropriata per un’istituzione che dovrà giungere in ogni angolo del mondo. Nel frattempo sono successi due avvenimenti significativi: il 14 febbraio 1943, sempre mosso da Dio, don Josemarìa ha fondato la Società sacerdotale della Santa Croce, che, oltre a consentire l’ordinazione sacerdotale di membri laici dell’Opus Dei e la loro piena dedizione agli apostolati dell’Opera stessa, permetterà anche ai sacerdoti delle diverse diocesi di seguire questo cammino di santificazione attraverso il lavoro, mantenendosi in esclusiva dipendenza dal proprio vescovo. Inoltre, il 25 giugno 1944, hanno ricevuto gli Ordini sacri tre membri dell’Opera. Da allora a oggi sono più di 1500 i membri dell’Opus Dei che hanno ricevuto il sacerdozio.

A Roma il fondatore stimola e consolida la crescita dell’Opus Dei; nel 1947 ottiene l’approvazione pontificia dell’Opera, indispensabile per garantirne lo sviluppo in tanti Paesi dei cinque continenti. Da Roma egli guida l’espansione in tutto il mondo e anzitutto nella stessa Città eterna e in Italia. Il primo obiettivo è agevolato dall’affetto con cui il papa Pio XII accoglie il fondatore – di questi lo stesso Pontefice dirà: “È un vero santo, un uomo mandato da Dio per i nostri tempi” -, e dall’amicizia mostratagli dal giovane Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, che poi sarà Paolo VI. Ma gli ostacoli da superare sono proporzionali alla novità dell’Opera, e passeranno anni prima di giungere alla definizione di una veste giuridica che l’accolga per quello che è, una istituzione della Chiesa che aiuta i comuni cristiani a cercare la santità nella realtà più ordinaria. Vi si arriverà solo dopo la morte di monsignor Escrivà, il 28 novembre 1982, con l’erezione dell’Opus Dei in prelatura personale, nuova realtà pastorale voluta dal concilio Vaticano II, che rispecchia il carisma e l’identità dell’istituzione secondo la volontà del fondatore.

Il secondo obiettivo, l’espansione dell’apostolato, presenta a sua volta forti difficoltà. Quelle economiche, anzitutto: a Roma, come dappertutto, l’insediamento dei primi membri dell’istituzione comincia senza una lira e con molta fiducia in Dio. Il motto “Dio e audacia”, che il Padre aveva coniato ai tempi dell’Accademia DYA, resta pienamente attuale. Tra loro non vi sono personalità influenti: attorno al Padre sono quasi tutti ragazzi e ragazze men che trentenni, venuti con lui dalla Spagna, che frequentano le università e fanno amicizia con colleghi italiani. Lo stesso accade altrove: entro l’anno altri si sono trasferiti in Portogallo, e, negli anni successivi, in Francia, Inghilterra e Irlanda. Ogni anno si aggiungeranno nuovi Paesi: nel 1949 il Messico e gli Stati Uniti, nel 1950 Argentina e Cile, nel 1951 Venezuela e Colombia, nel 1952 la Germania, nel 1953 Perù e Guatemala, nel 1954 l’Ecuador, nel 1956 l’Uruguay e la Svizzera, nel 1958 il Giappone e il Kenya, nel 1963 l’Australia… Oggi appartengono all’Opera persone di ottanta nazionalità diverse, sparse per i cinque continenti, che vivono lo stesso spirito nella grande varietà di lingue e culture.

Il 16 giugno 1950, festa del Sacro Cuore di Gesù, Pio XII concede all’Opus Dei la definitiva approvazione; con essa il fondatore ottiene dalla Santa Sede di poter ammettere in qualità di cooperatori dell’Opus Dei anche persone non cristiane. Ciò caratterizza l’apostolato dell’Opera, che si svolge dappertutto e fonda i valori cristiani che propone su coerenti ideali umani, condivisibili da ogni uomo di buona volontà. Benché i membri dell’Opera siano chiamati a vivere pienamente la fede soprattutto nella personale vita di lavoro e di famiglia, spesso accade che lo spirito di servizio induca alcuni di loro a dar vita, insieme ad altre persone, ad attività assistenziali di vario tipo, improntate a criteri professionali e che si basano su solidi valori umani. Ve ne sono in tutto il mondo: centri di insegnamento, collegi studenteschi, scuole agrarie per contadini, centri di formazione per operai, ambulatori medico-sociali in zone povere e via dicendo. È logico che tanti uomini e donne, anche non credenti, siano attratti da un impegno così serio e vasto; ed è altrettanto logico che spesso vi trovino occasione per accogliere il dono della fede cristiana, che poggia su tutto ciò che di buono vi è nell’uomo.

Nell’aprile 1954 Josemarìa Escrivá guarisce repentinamente da una grave forma di diabete, che lo affliggeva da dieci anni: un giorno, all’improvviso, cade in un coma anafilattico apparentemente irreversibile, ma dopo pochi minuti si riprende, ritrovandosi pienamente e definitivamente guarito.
Nella sede centrale dell’Opera, a Roma, continua a guidare la crescita dell’Opus Dei. Sebbene sia Padre di una prole spirituale sempre più numerosa, il suo modo di vivere non ha niente di straordinario, né di clamoroso. Fin dagli anni della giovinezza ha desiderato “nascondersi e scomparire, perché brilli solo Gesù”, e si attiene decisamente a questa condotta.

Governa l’Opera, ma non si abbandona ad alcun gesto di presenzialismo rumoroso. Com’è normale, la crescita dell’istituzione comporta lo sviluppo di un’ampia mole di corrispondenza, ed è tra queste carte che ora passa buona parte della giornata. Però ogni giorno dedica parecchio tempo anche a ricevere chiunque voglia incontrarlo: figli suoi che passano da Roma, amici, conoscenti, prelati della curia romana, vescovi di tutti i Paesi, desiderosi di attingere alla ricchezza della sua vita interiore e della sua esperienza pastorale, sacerdoti e religiosi, gente che ha semplicemente desiderio di conoscerlo. Inoltre non ha certo smesso di predicare, di dedicarsi alla formazione spirituale e dottrinale delle tante persone che lo circondano. Negli anni ha pubblicato pure altri libri, che derivano, come Cammino, dalla sua vasta esperienza sacerdotale, e si spargono in tutto il mondo come semi che daranno frutto nel cuore di tante persone. Tra questi vi sono Il santo Rosario (1934), Colloqui con Monsignor Escrivá (raccolta di interviste, 1968), È Gesù che passa (omelie, 1973). Postumi usciranno Amici di Dio (omelie, 1977), Via Crucis (1981), Solco (1986) e Forgia (1987).

4. Le “scorribande apostoliche”
Innamorato com’è del Signore, monsignor Escrivá arde dal desiderio di vedere la fede spargersi dappertutto come un contagio benefico. È consapevole che non c’è altra strada: o gli uomini incontrano Cristo per le strade del loro mondo, o sulla terra non vi saranno mai la felicità e la pace. Per questo soffre profondamente nel vedere che, invece, il mondo sembra allontanarsi con indifferenza dal Creatore. D’altra parte è certo che la Chiesa vincerà le tenebre, perché è il Corpo mistico di Cristo, assistita dallo Spirito Santo, e dunque “eternamente bella, eternamente pura, eternamente limpida” (5); e a proposito del Papa gli piace ripetere l’ardente espressione di santa Caterina da Siena, che lo chiamava “il dolce Cristo in terra”. Ha seguito con trepidazione e con gioia, dal 1962, l’aprirsi e lo svolgersi del concilio Vaticano II, che ha solennemente proclamato quella “vocazione universale alla santità” che è il cuore stesso dell’Opus Dei. Ma gli splendidi frutti del Concilio non sempre trovano adeguata applicazione, e frattanto vaste folle di persone restano nella confusione e nell’ignoranza.

Per quanto sta a lui, può reagire con uno strumento di grande potenza: la preghiera. Da sempre la Messa è il centro della sua vita di preghiera, e la sua fede nell’Eucaristia colpisce quanti assistono alla sua celebrazione. Per lui, infatti, non è concepibile provare per Dio un affetto astratto, disincarnato: “Dobbiamo rivolgerci al Signore col nostro cuore di uomini; col cuore che abbiamo avuto per amare i nostri genitori, con pietà filiale; col cuore con cui ci vogliamo bene tra di noi”. È lo stesso convincimento interiore che lo spinge in pellegrinaggio nei santuari mariani, famosi o sconosciuti: Lourdes, Fatima, il Divino Amore, Pompei, Loreto e tanti altri. Supplica Maria con la fede fiduciosa di un figlio piccolo, chiedendole di sostenere la Chiesa e il romano pontefice. Dal 15 maggio al 22 giugno 1970 si recherà in Messico, in visita penitenziale al santuario della Madonna di Guadalupe. Ha anche promosso la costruzione di un nuovo santuario mariano, a Torreciudad, sui Pirenei, dove le pietre stesse daranno testimonianza del suo amore appassionato per la Vergine.

Di questo periodo è anche un’altra risoluzione, che, nella sua umiltà, gli costa un grande sforzo: intraprenderà lunghi giri di catechesi itinerante – li definirà “scorribande apostoliche” – che, tra il 1972 e il 1975, lo porteranno prima a ripercorrere tutta l’Europa e poi a recarsi in America, in viaggi catechetici estenuanti e ricchi di frutti. Da un Paese all’altro, incontrando decine di migliaia di persone, ripeterà l’invito amoroso di Cristo a seguirlo nelle occupazioni di ogni giorno, senza lasciare il proprio posto, portando a Dio anche le mansioni più umili e gli avvenimenti più comuni. Questa catechesi avrà caratteristiche peculiari, com’è peculiare lo spirito che Escrivá incarna e diffonde dal 1928: si tratterà di incontri dal clima familiare, aperti a ogni tipo di persone, in cui molti degli intervenuti apriranno il cuore con domande anche molto personali circa i problemi che si trovano ad affrontare, e il Padre risponderà con affetto e con chiarezza, mettendo ciascuno di fronte all’amore di Dio e alla bellezza di una fede senza mezze misure.

Gli chiederanno come educare i figli alla fede e come rispettarne la libertà; come svolgere bene il lavoro e come conciliarlo con la vita di preghiera; come avvicinare un amico alla Confessione e come correggere un’opinione errata; come può santificarsi una collaboratrice domestica e come può farlo un’attrice. Ci saranno momenti di commozione generale e altri di attenzione vivissima, sebbene spesso le persone presenti siano tante che è stato necessario affittare un grande teatro per ospitarle: la personalità del Padre attrae, cattura, e, soprattutto, lascia trasparire la prossimità di Dio e uno straordinario calore umano. Non mancano gli applausi e i ringraziamenti; ma su questo il Padre è chiaro e netto: “Tutti dobbiamo ringraziare il Signore” – ribatte con dolcezza e decisione a una signora che vuole ringraziarlo per le sue parole -: “non me. Dio scrive una lettera, poi la mette in una busta. La lettera si toglie dalla busta, e la busta si butta nel cestino”.

Ha sete di anime, da offrire a Cristo. È sempre Lui, infatti, il vero centro e il motore delle sue giornate; se a oltre settant’anni ha attraversato l’Atlantico, se fa “il giullare di nostro Signore” in giro per il mondo – come afferma scherzosamente in molti di quegli incontri familiari – è per amor suo. Perciò non si accontenta delle parole, ma esorta tutti a una vera conversione, che deve necessariamente passare tramite i sacramenti, dai quali viene la grazia. Dice senza mezzi termini ai suoi ascoltatori: “Se anche una sola persona che abbia condotto una vita un poco trascurata ora torna indietro e si confessa, non avrò perduto il tempo”.

5. La seconda nascita
A settant’anni si sente ed è ancora molto giovane, benché il suo prodigarsi lo porti spesso vicino allo sfinimento. Da qualche tempo, nell’intimità della preghiera, offre spesso la sua vita per la Chiesa, “perché si abbrevi il tempo della prova”.
Il 28 marzo 1975, che coincide col Venerdì Santo, celebra nell’intimità le sue nozze d’oro sacerdotali. Muore improvvisamente il 26 giugno, nella sua stanza di lavoro, all’età di settantatré anni. Il giorno dopo viene sepolto nella cripta della chiesa di Santa Maria della Pace, nella sede centrale dell’Opus Dei, a Roma, mentre da ogni parte del mondo si levano suffragi per la sua anima. L’Opus Dei conta, alla sua morte, oltre 60.000 membri in tutto il mondo: sacerdoti e laici, uomini e donne, giovani e anziani, sposati e celibi.
Se a questa data, con la sua “nascita al cielo”, la vita terrena di Josemarìa Escrivá può dirsi conclusa, ben lontana dalla conclusione è l’efficacia della sua esistenza.

Migliaia di persone iniziano ad affidarsi fiduciosamente alla sua intercessione presso Dio, affidandogli piccole e grandi questioni personali, di carattere materiale o spirituale. Il 19 febbraio 1981 viene solennemente inaugurato il processo di beatificazione, la cui apertura è stata chiesta al Papa con circa 6.000 lettere postulatorie, da oltre 100 Paesi; fra gli altri 69 cardinali, 241 arcivescovi, 987 vescovi (più di un terzo dell’episcopato mondiale) e 41 superiori generali di ordini e congregazioni religiose, oltre a numerosi capi di Stato e di governo, esponenti del mondo della cultura e della scienza, innumerevoli fedeli.

Alla sede della Postulazione della causa di beatificazione continuano ad affluire, a un ritmo impressionante che tuttora non accenna ad affievolirsi, relazioni firmate di grazie e favori ricevuti tramite monsignor Escrivá: se ne conservano attualmente oltre 80.000, ad attestare la fama di santità del Servo di Dio. Le hanno scritte persone di ogni tipo, che in grandissima parte non solo non sono membri dell’Opus Dei, ma nemmeno sono in contatto con la prelatura.

Monsignor Escrivá non ha smesso di tenere a ciò cui ha dedicato la vita intera: parecchie di queste relazioni parlano di problemi di lavoro che si risolvono, di famiglie che si rinsaldano nell’affetto, di conversioni, di vocazioni. A volte invece si tratta di favori materiali, piccoli o grandi.
Esistono miracoli veri e propri, la cui inesplicabilità scientifica è stata accertata: per esempio la guarigione chiaramente prodigiosa, in una sola notte, della religiosa spagnola suor Concepción Boullón Rubio da una forma tumorale e da vari altri mali. Tale guarigione, prescelta tra numerosi casi analoghi di cui si allegava completa documentazione clinica, è stata studiata dalla Santa Sede tramite i propri Consultori medici e teologi, che ne hanno comprovato la verità, com’è attestato dal decreto pontificio che, letto ufficialmente il 6 luglio 1991, ha completato la causa di beatificazione di monsignor Escrivá. Il 17 maggio 1992 è la data in cui Giovanni Paolo II, nel corso di una solenne celebrazione in piazza San Pietro, proclama beato Josemarìa Escrivá.

San Josemaría6. Giudizi su Josemarìa Escrivá
I Consultori della Santa Sede che hanno studiato i materiali presentati per la Causa di beatificazione di Josemarìa Escrivá, che per legge sono rigorosamente anonimi, hanno lasciato ampia testimonianza scritta del ruolo e dell’influsso di Josemarìa Escrivá nella vita della Chiesa e del nostro tempo:

– “In questi ultimi secoli, forse mai come nel Servo di Dio Josemarìa Escrivá de Balaguer si è registrata una sintonia ed un accordo quasi universale, anche a livello geografico e di differente cultura, nell’acclamarlo come grande amico di Dio e grande benefattore dell’umanità”.

– “Forse non andiamo errati se diciamo che si tratta della Causa del maggior apostolo di questo nostro secolo”.

– “Il Maestro della spiritualità per il nostro tempo (…), l’uomo mandato da Dio per rinnovare e ravvivare lo spirito cristiano in un mondo indifferente e distratto che abbisogna di venire rievangelizzato”.

– “Credo che il Servo di Dio sia un grande dono fatto da Dio alla Chiesa del nostro tempo (…). Vedo in lui un grande maestro di vita spirituale non solo per i fedeli, quale antesignano della vocazione universale dei fedeli alla santità, ma anche del clero e dei religiosi in quest’epoca piuttosto critica della vita della Chiesa”.

– “Una figura spirituale che veramente (occorre dirlo?) giganteggia nel ciclo della Chiesa del secolo XX”.

– “La sua missione continua oltre la morte, e con quelle caratteristiche che sono proprie di quei santi che hanno qualcosa da dire al mondo di oggi”.

– “Un modello compiuto e attraente della santità di cui ha più bisogno il mondo contemporaneo”.

– “Se si prende in considerazione la fama di santità, confermata da segni quasi innumerevoli in ogni parte del mondo, oltre ad una grande figura di santo, la Chiesa si sta interessando di un grande taumaturgo come nei tempi più luminosi della sua storia”.

Tra i numerosi giudizi pubblici espressi in questi anni sulla figura di Josemarìa Escrivá abbiamo scelto, per concludere, quelli di alcuni cardinali:

– “L’idea matrice di mons. Escrivá permette di avvicinarlo a san Benedetto, per la forza santificatrice del lavoro, e a san Francesco, per il senso del divino a contatto della creatura nel suo essere e nel suo operare” (card. Pietro Parente).

– “Non c’era in lui nessuna conversazione, nessun gesto, nessuna iniziativa, nulla, che non fosse eo ipso catechesi e apostolato. E non ci fu nessun incontro, nessun colloquio con lui che non mi abbia procurato nuovo slancio, maggior amore al Signore e alla Chiesa, maggior forza nella fede. Probabilmente ci sono poche personalità nella storia della Chiesa – specialmente oggi – la cui importanza per la Chiesa stessa sia tanto universale, cattolica ed eminentemente attuale come quella di monsignor Josemarìa Escrivá” (card. Franz Hengsbach, vescovo di Essen).

– “Mons. Escrivá invita appassionatamente a mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane in modo che da tutti gli ambienti sociali e professionali scaturisca un moto ascensionale di elevazione a Dio di tutte le realtà temporali” (card. Michele Giordano, arcivescovo di Napoli).

– “Appartiene ormai alla storia e al tesoro di tutta la Chiesa” (card. Sergio Pignedoli).

– “Uno degli eroi del nostro secolo” (card. John J. Carberry, arcivescovo di Saint Louis).

– “Uno dei più grandi santi di tutti i tempi” (card. Maurice M. Otunga, arcivescovo di Nairobi).

(Giuseppe Romano, Josemaría Escrivà, il Vangelo del lavoro, Ed. San Paolo, 1992)