In unità con lo Spirito Santo (40)

San Josemaría e il beato ÁlvaroSe è vero, come si è visto, che la santa Messa è opera della SS. Trinità intera, non v’è dubbio che l’azione dello Spirito Santo ha un posto dominante: “Tale azione dello Spirito Santo si manifesta chiaramente quando il sacerdote invoca la benedizione divina sulle offerte: Vieni, o Santificatore, Dio onnipotente ed eterno […]. La santificazione che invochiamo è attribuita al Paraclito, che il Padre e il Figlio ci mandano”.

E parla esplicitamente di una “presenza attiva” dello Spirito Santo nel sacrificio, quando diciamo poco prima della comunione: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente che secondo la volontà del Padre e in unione (41) con lo Spirito Santo, con la tua morte hai dato la vita al mondo… La Messa allora è azione divina trinitaria: “Tutta la Trinità è presente nel sacrificio dell’altare. Per la volontà del Padre e con la cooperazione dello Spirito Santo, il Figlio si offre come vittima redentrice” (ibidem, n. 86). Questa angolazione trinitaria del Sacrificio eucaristico ci sembra uno dei tratti originali e profondi della teologia di Escrivá. Egli certamente conosce l’unità delle “operazioni ad extra” delle Persone divine, ma vuole rilevare il carattere personale delle singole attribuzioni nella loro rispettiva ricchezza, nell’opera della santificazione delle anime.

E cita un testo mirabile di san Cirillo di Gerusalemme: “Quando partecipiamo dell’Eucaristia sperimentiamo la spiritualizzazione deificante dello Spirito Santo che non solo ci configura con Cristo, come avviene nel Battesimo, ma ci cristifica per intero, associandoci alla pienezza di Cristo Gesù” (Catecheses, 22, 3; ibidem, n. 87) (42).

E si compiace di segnalare dagli Atti degli Apostoli l’assistenza continua e speciale dello Spirito Santo sugli Apostoli e sulla Chiesa Apostolica: ogni atto e gesto è ispirato e mosso dallo Spirito Santo. Ma la realtà profonda, ci ricorda subito il fondatore dell’Opus Dei, che il senso della Sacra Scrittura ci fa conoscere non è un ricordo del passato… è anche la realtà della Chiesa di oggi e della Chiesa di tutti i tempi. Cristo ha pregato il Padre perché mandi il Consolatore ai suoi discepoli e ha mantenuto le sue promesse: è risorto, è salito al Cielo, e in unità con l’Eterno Padre – sempre tutta la Trinità è in atto – ci manda lo Spirito Santo per santificarci e darci la vita: “Lo Spirito Santo continua ad assistere la Chiesa di Cristo in modo che sia sempre e in ogni cosa un segno innalzato in mezzo a tutte le nazioni, per annunciare all’umanità la benevolenza e l’amore di Dio” (ibidem, n. 128).

Non dobbiamo lasciarci abbattere né dall’esperienza della nostra debolezza o degli scandali della vita di tanti che si dicono cristiani, e neppure dall’apparente insuccesso di talune iniziative apostoliche, tutte conseguenze del peccato: “Cristo non è fallito: la sua dottrina e la sua vita stanno fecondando il mondo incessantemente […J. Quando recitiamo il Credo […] proclamiamo che la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo” (ibidem, n. 129).

Occorre una fede speciale nello Spirito Santo e soprattutto la docilità alle sue segrete e misteriose mozioni: “Docilità significa essere sensibili a ciò che lo Spirito divino suscita attorno a noi e in noi: sensibili ai carismi che distribuisce, ai movimenti e alle istituzioni che promuove, agli affetti e alle decisioni che fa nascere nel nostro cuore”.

E con più insistenza, ispirandosi alla Sequenza della Messa di Pentecoste: “Lo Spirito Santo realizza nel mondo le opere di Dio; Egli è […] datore dei doni, luce dei cuori, ospite dell’anima, riposo nella fatica, conforto nel pianto”. Ma bisogna sempre tenere presente che “lo Spirito Santo è lo Spirito inviato da Cristo per operare in noi la santificazione che Egli ci ha meritato sulla terra. Pertanto non ci può essere fede nello Spirito Santo se non c’è fede in Cristo, nella dottrina di Cristo, nei sacramenti di Cristo, nella Chiesa di Cristo”. E qui l’autore riprende le sue riflessioni sulla Chiesa: “Non è coerente con la fede cristiana e non crede veramente nello Spirito Santo chi non ama la Chiesa” (ibidem, n. 130).

Fra tutti i doni dello Spirito Santo egli raccomanda il dono della sapienza “che ci fa conoscere e gustare Iddio, rendendoci capaci di valutare rettamente le situazioni e le cose di questa vita”. La fede cristiana ci insegna che “siamo stati chiamati a penetrare nell’intimità divina, a conoscere e ad amare Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo e, nella Trinità e Unità di Dio, tutti gli angeli e tutti gli uomini” (ibidem, n. 133).

E perciò prorompe nell’esortazione: “Amate la Terza Persona della Trinità Beatissima: ascoltate nell’intimità del vostro essere le mozioni divine – incoraggiamenti, rimproveri -; camminate sulla terra guidati dalla luce che ha inondato la vostra anima: e il Dio della speranza ci colmerà di ogni sorta di pace, in modo che questa speranza cresca in noi sempre di più, in virtù dello Spirito Santo” (corsivo nostro; ibidem, n. 133) (43). Così vissero i primi cristiani e così dobbiamo vivere tutti noi perché – come già sappiamo dal principio fondamentale della spiritualità di Escrivá – “tutti sono egualmente chiamati alla santità”, perché “tutti abbiamo ricevuto un medesimo Battesimo” e perché “uno solo è lo Spirito che elargisce i doni divini” (ibidem, n. 134).

E fra le tre realtà fondamentali della vita cristiana, ch’egli raccomanda, la prima è la docilità, perché “è lo Spirito Santo che con le sue ispirazioni da tono soprannaturale ai nostri pensieri, ai nostri desideri e alle nostre opere […]. Se siamo docili allo Spirito Santo, l’immagine di Cristo verrà a formarsi sempre più nitidamente in noi […], ci abbandoneremo nelle mani di Dio nostro Padre con la stessa spontaneità e con la stessa fiducia con cui il bambino si getta nelle braccia del padre”.

Siamo di nuovo al centro della spiritualità dell’autore: “Questo antico e sempre attuale itinerario d’infanzia non è fragile sentimentalismo né carenza di maturità umana, bensì la vera maturità soprannaturale”, congiunta alla vita di preghiera come “dialogo costante con Dio Uno e Trino, e proprio a questa intimità ci spinge lo Spirito Santo (…). E infine l’unione con la Croce: perché (…) lo Spirito Santo è il frutto della Croce, della dedizione totale a Dio, della ricerca esclusiva della sua gloria e della totale rinuncia a noi stessi” (ibidem, nn. 135-137). E allora, e solo allora, chi vive veramente di fede “riceve con pienezza il grande fuoco, la grande luce, la grande consolazione dello Spirito Santo” (ibidem, n. 137).

“Ascetica? Mistica?” – si domanda – “non me ne preoccupo” – risponde – “[…]. È grazia di Dio” (Amici di Dio, n. 308). E possiamo qui concludere ispirandoci alla conclusione di questa luminosa omelia di Pentecoste: è questa una rapida sintesi che a malapena riesce a tradurre, nelle poche frasi spezzate che abbiamo raccolto e riportato, la ricchezza spirituale di questi due volumi di omelie.

Note
(40) Lo Spirito Santo è uno dei temi prediletti, al quale, come si è appena rilevato, Escrivá ha dedicato anche un’omelia il 25 maggio 1969 (E Gesù che passa, nn. 127 ss.), ch’egli chiama in modo suggestivo “il grande sconosciuto”.
(41) Questa omelia risale al 1960, prima della riforma liturgica, quando ancora non esisteva una traduzione ufficiale dei testi liturgici. Tuttavia sorprende che nella versione italiana di È Gesù che passa sia stata adottata una traduzione tanto libera del testo latino, dove cooperante Spiritu Sancto è diventato in unione con lo Spirito Santo. Il termine “unione” ha significato psicologico e morale; tutt’al più sarebbe stato preferibile “nell’unità”, che ha valore metafisico.
(42) In un contesto molto simile, e più sviluppato, vedi il lesto mirabile di S. KIERKEGAARD; Il rapporto a Dio. Padre-Figlio-Spirito Santo (Diario 1852, X5 A 24; trad. it. t. IX, pp. 190 ss.) di cui diamo la conclusione: “Dunque, non è lo Spirito che conduce al Figlio e il Figlio che conduce al Padre; no, è il Padre che indica il Figlio e il Figlio che indica lo Spirito Santo, e allora soltanto a sua volta è lo Spirito che conduce al Figlio, e il Figlio che conduce al Padre” (p. 192).
(43) Leggendo i decreti del Concilio Vaticano II Escrivá scorge l’influsso dello Spirito Santo, soprattutto nella rivalutazione del “lavoro ordinario” (Colloqui, n. 55).

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