Con la generosità della donna

San JosemaríaFra le varie interviste concesse da monsignor Escrivá in Colloqui quella dedicata alla donna (15) sembra la più elaborata e articolata perché passa in rassegna i principali problemi del matrimonio e della famiglia nel mondo contemporaneo e merita quindi una speciale attenzione che restringerò all’essenziale. Dato il ruolo essenziale della donna nella famiglia, cellula primaria della società e in qualche modo anche della Chiesa, l’argomento illumina una tematica molto cara all’autore: quella dell’azione del comune fedele nell’edificazione della Chiesa e nella cristianizzazione del mondo mediante la vita di tutti i giorni.

Fin dal principio egli fissa la missione della donna in tre punti o compiti che vanno intesi non in contrasto, ma in complementarità con i compiti propri dell’uomo.

a) Infatti, come nella vita dell’uomo anche in quella della donna, ma con caratteristiche molto peculiari, il focolare e la famiglia occuperanno sempre un posto preminente: è evidente, osserva, che il dedicarsi ai compiti familiari costituisce una grande funzione umana e cristiana (16). Qui soprattutto vale il principio della solidarietà fra l’ordine naturale e soprannaturale.

b) A questo proposito non è lecito contrapporre le occupazioni di casa con l’attività esterna: deve restare saldo, perché è nell’ordine della natura, che il focolare (corsivo nostro) – qualunque esso sia, poiché anche la donna non sposata deve avere un focolare – è un àmbito particolarmente propizio per lo sviluppo della personalità. E per la donna sposata il maggior titolo di dignità sarà sempre costituito dalle cure prestate ai figli e alla famiglia; con la sollecitudine verso il marito, in modo da creare intorno a sé con il proprio impegno un ambiente accogliente e formativo.

c) Non si tratta quindi per la donna di voler uniformarsi all’uomo e di “copiarne”, per così dire, la vita quasi ripetendola a tutti i livelli, e questo non perché la donna valga o non valga, valga di più o di meno dell’uomo, ma solo per la ragione ovvia – ferma restando l’eguaglianza di natura, di diritti e di dignità – che essa è diversa. L’emancipazione della donna è un diritto naturale e cristiano a un tempo quando significa per la donna la possibilità reale di sviluppare pienamente le proprie virtualità e capacità: quelle che essa possiede nella sua singolarità, come particolare individuo, e quelle che ha in quanto donna.

d) Le caratteristiche della donna, mediante le quali essa contribuisce al bene della società, sia civile come ecclesiale (17), sono soprattutto: “la sua delicata tenerezza, la sua instancabile generosità, il suo amore per la concretezza, il suo estro, la sua capacità d’intuizione, la sua pietà profonda e semplice, la sua tenacia” (Colloqui, n. 87).

e) Per raggiungere e attuare tutto questo Escrivá esorta la donna a una profonda riflessione per la conoscenza di sé stessa e delle sue possibilità e tendenze, ricorrendo anche al consiglio di persone più esperte per cercare l’ideale che illumina e riempie l’intera vita, o, com’egli si esprime, il vero centro (che è sempre Cristo) della propria vita, ch’è la propria vocazione, per fare poi la propria scelta davanti a Dio con una autentica vita interiore (cfr ibidem, n. 88).

f) Tutto questo non esime, ma anzi stimola l’azione ossia quella che oggi chiamano la “dimensione sociale” della donna. Quale lavoro più sociale della buona conduzione del focolare domestico, l’educazione dei figli così da farli diventare anch’essi, a loro volta, educatori, in modo da creare un’ininterrotta catena di responsabilità e di virtù?

g) Possiamo dire che la “donna di casa” nel matrimonio (18) gode le preferenze di Escrivá, e in special modo la madre di famiglia che non deve sentirsi diminuita o frustrata: in fondo, basta saper distribuire il proprio tempo e allora “c’è tempo per fare molte cose: per governare la casa con senso professionale, per dedicarsi costantemente agli altri, per elevare la propria cultura ed arricchire quella altrui, per svolgere tanti compiti pieni di efficacia” (ibidem, n. 89).

h) Fedele al suo principio di libertà, Escrivá riconosce anche alla donna il diritto di partecipare attivamente alla vita politica, purché si prepari seriamente ai compiti gravi che essa comporta, così da rendere alla comunità un servizio responsabile e positivo. Una volta poi che una donna è dotata della necessaria preparazione, essa deve trovare aperti tutti gli sbocchi della vita politica (19) a tutti i livelli: “Una società moderna, democratica, deve riconoscere alla donna il diritto di prendere parte attiva alla vita politica, e deve creare le condizioni atte a favorire l’esercizio di questo diritto da parte di tutte coloro che desiderano farlo” (ibidem, n. 90) che è un servizio della massima importanza, dal quale dipende il bene di tutti.

Grazie alle sue doti naturali la donna, entrando nella vita politica, può dare la garanzia che saranno rispettati gli autentici valori umani e cristiani quando si tratta di prendere delle misure che interessano in qualche modo la vita della famiglia, l’ambiente educativo, l’avvenire dei giovani. Quindi può svolgere un autentico apostolato e un servizio cristiano per tutta la società (20): per quanto riguarda il rapporto con i figli si evidenziano soprattutto la concordia, l’educazione delicata e vigile a una libertà responsabile secondo un sano pluralismo (cfr ibidem, n. 98), l’esempio di una schietta vita di pietà (“la benedizione a tavola, il rosario recitato tutti insieme”), la prudenza e la fiducia insieme quando si tratta della scelta del proprio stato, del fidanzamento, della preparazione al matrimonio che è una autentica vocazione divina (21); e l’autore si scaglia con espressioni di sdegno e condanna contro gli abusi moderni dell’edonismo materialista (cfr ibidem, nn. 93-95). Ed esorta tutti, anche i celibi e le nubili, a vivere con semplicità ed elevazione la propria vita la quale ha anch’essa le sue soddisfazioni con le molteplici possibilità e occasioni di bene che può offrire.

L’insegnamento è così ricco e suasivo che pare attinto direttamente “in mezzo alla strada”, camminando gomito a gomito accanto ai propri fratelli.
Si può dire che mediante la dottrina della santità del matrimonio, innestata sulla filiazione divina ricevuta nel santo Battesimo, comincia, si sviluppa e si compie la missione di apostolato dell’Opus Dei, la quale può essere sintetizzata nella formula che “per essere molto divini bisogna anche essere molto umani” (ibidem, n. 104) (22); sull’esempio della vita di Gesù, Giuseppe e Maria che furono i modelli vivi e presenti di Escrivá.

Note
(15) La donna nella vita sociale della Chiesa (Colloqui, nn. 87-112).
(16) Egli si scaglia perciò con veemenza contro quei sacerdoti di manica larga che consigliano con coscienza tranquilla l’uso della pillola condannato da Paolo VI: “Ci vuole proprio una smisurata arroganza per pensare che il Papa si sbagli e loro no!” (Colloqui, n. 95). Vedi anche il nostro saggio: La donna e la casa, in “Momenti dello spirito”, Assisi 1983, t. I, pp. 78 ss.
(17) Escrivá aggiunge: “E che solo lei può dare”: la psicologia e la fenomenologia odierna – e, aggiungerei, l’esperienza – sono meno esclusive. Kierkegaard vede il difetto principale della donna nell’egoismo (cfr Diario 1954: la donna-l’uomo; XI A 226, n 3982, t. 10. pp. 192 ss).
(18) Cfr l’omelia profonda e intimamente sentita – l’argomento tocca il cuore dell’apostolato dell’Opus Dei – Il matrimonio, vocazione cristiana (È Gesù che passa, nn. 22-30). Sull’indissolubilità del matrimonio, vedi Colloqui, n. 97.
(19) Come istituzione “l’Opus Dei non interviene per nulla in politica” (Colloqui, n. 28. Cfr n. 48). Neanche all’Università (l.c., n. 76). E dichiara che in questa materia, in virtù del pluralismo, i membri “nella pratica hanno adottato posizioni diverse e, in parecchie occasioni, addirittura opposte” (ibidem, n. 65).
(20) Il seguito dell’intervista è dedicato ai doveri della donna nel matrimonio e l’autore fa una vibrante difesa della Humanae vitae di Paolo VI e dell’amore dei coniugi: “vivere con la libertà che Cristo ci ha conquistato, e vivere la carità che Egli ci ha dato come comandamento nuovo” (ibidem, n. 98).
(21) E Cristo, come spesso osserva Escrivá, ne ha fatto un sacramento e pertanto un principio di grazia, vocazione divina e cammino di santità (cfr ibidem, nn. 91-93).
(22) L’omelia Verso la santità (26 novembre 1967) traccia un mirabile quadro di questo ideale di perfezione cristiana che è offerto a ognuno (Amici di Dio, nn. 294 ss.).

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