Lo stile

Padre Cornelio FabroMi pare doveroso, a questo punto, spendere qualche parola a proposito di questioni stilistiche e formali. Non è comunque un tema marginale, se è vero che lo stile è da sempre essenziale veicolo di efficacia per romiletica, per la pastorale, per l’apologetica. Le opere dei grandi santi sono non di rado opere di grande letteratura tout court: basti pensare a Teresa d’Avila e a Giovanni della Croce in Spagna, a Francesco d’Assisi e ad Alfonso Maria de’ Liguori in Italia, alla Bibbia stessa, che trabocca di pagine stilisticamente straordinarie.

Ebbene, pur tenendo conto dell’inevitabile ostacolo che una traduzione (pur ottima, com’è in genere quella italiana) costituisce per i più, occorre dire subito che lo stile di Escrivá è di grande pregio. E’ uno stile sciolto e chiaro, asciutto e immaginoso insieme, che conosce sia la grande prosa dei princìpi sia le delicate allusioni ai moti più interiori dell’animo. Sul piano letterario considero questi scritti, e specialmente i due volumi delle omelie, un modello del genere che non teme i confronti con i Grandi del Seicento spagnolo da lui letti e ammirati.

Il suo linguaggio non è aulico e compassato, ma immediato e vivace, preciso e sobrio nella parte strettamente teologica dei misteri e dei princìpi della vita spirituale, sempre vivo e immediato negli sviluppi, nel ricorso al linguaggio corrente e ad esempi diretti della vita vissuta. Non manca neppure qualche innocente bizzarria di stile; piace per esempio leggere della “santa facciatosta” che egli raccomanda come espressione della franchezza propria dei bambini (43), ben diversa dall’impudenza mondana.
Di fronte a certe situazioni o esempi di particolare arroganza, raccomanda di “affrontarli virilmente e impiegare “l’apostolato delle parolacce”. – La prossima volta te ne dirò all’orecchio un certo repertorio” (Cammino, n. 850).

Come si è accennato, la forma espositiva è molto varia in Cammino, Solco e Forgia: segno della diversità delle circostanze, occasioni, ambienti… in cui i testi furono redatti. Per questo la forma è più vivace ed espansiva delle omelie che, in confronto, sono articolate in temi precisi e svolte per punti dai titoli (o sottotitoli) sempre incisivi e illuminanti. Non temo di affermare che molte di esse, quasi tutte senz’altro, possono essere considerate dei testi classici per la semplicità e trasparenza e insieme per il rigore logico e l’intenso afflato spirituale che sa passare naturalmente, di slancio, dal rammarico e rimprovero alla confidenza e tenerezza patema e amichevole.

In particolare la forma è sempre stringata, tutta di getto e senza ripetizioni: il lettore può assistere, spesso stupito, alla nascita del pensiero che si svolge all’interno di una idea centrale e ch’è insieme di continuo sollecitato da luminosi testi ed episodi biblici, da scelti richiami patristici e precìsi princìpi teologici specialmente di san Tommaso. L’autore ha sempre presente il Magistero, e specialmente il Concilio Vaticano II, ed è attento nel confrontarvisi. Il suo è un pensiero prevalentemente biblico (44).

Note
(43) Cammino, n. 389: “La santa facciatosta è una caratteristica della “vita d’infanzia”. Nulla preoccupa il bambino. – Le sue miserie, naturali miserie, si pongono in evidenza con semplicità, anche se tutti lo guardano”. E spiega amabilmente come già si è osservato: “Questa facciatosta, trasferita alla vita soprannaturale, porta a ragionare così: lode, disprezzo…: ammirazione, burla…: onore, disonore…: salute, malattia…: ricchezza, povertà…: bellezza, bruttura… Bene, e… con questo?”.
(44) L’attestano gli Indici dei testi biblici posti in appendice ai vari volumi, specialmente ai volumi delle omelie.

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