Risposta dell'on. Casini

CARLO CASINI - Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'interpellanza da me presentata insieme a molti altri colleghi la domanda rivolta al ministro dell'interno ed al Presidente del Consiglio dei ministri mirava a sapere se: "se non intendeva prendere netta posizione a salvaguardia della libertà religiosa indicando la insussistenza di diritto e di fatto per i quali si è invocata l'applicazione della legge 25 gennaio 1982, n. 17, ed in particolare quali conseguenze intendano trarre dalle attestazioni ufficiali della Chiesa cattolica circa la natura e i fini dell'Opus Dei".

A questa domanda il ministro Scalfaro ha risposto in modo completo, chiaro, definitivo. Perciò manifesto la mia soddisfazione anche per il taglio della risposta, in quanto si è fatto riferimento a chiarissimi principi costituzionali: quello che garantisce i diritti umani (articolo 2 della Costituzione) e tra questi la libertà religiosa, e quello che riconosce la Chiesa come ente sovrano, e quindi la libertà della Chiesa in rapporto alla libertà dello Stato.

A questo riguardo devo dire che, da un punto di vista strettamente giuridico, forse uno dei due argomenti ha un significato assorbente. Non vi è dubbio, cioé, che il richiamo al Concordato, ed al principio costituzionale dell'articolo 7, implica di per sé un doversi fermare di fronte all'ulteriore domanda, se ciò l'Opus Dei sia o meno una associazione che rispetta le regole dello Stato e sia o no segreta.

In realtà l'Opus Dei non è un'associazione bensì, come il ministro ha giustamente ricordato, una struttura costituzionale della Chiesa. Forse alcuni interpellanti non hanno ben capito ciò, non hanno capito che l'Opus Dei è una struttura della Chiesa, dell'organizzazione della Chiesa, nello stesso modo in cui lo sono le diocesi. L'appartenenza ad una diocesi, che ha struttura territoriale, che fa riferimento al territorio per stabilire la sua organizzazione, non è dissimile da una prelatura personale che fa riferimento ad un elemento personale per stabilire una organizzazione.

Questo argomento sarebbe di per sé sufficiente, in punto di diritto, a dire, come giustamente ha fatto il ministro, che ci dobbiamo fermare al rispetto dei patti, al rispetto del principio costituzionale che garantisce la libertà e la sovranità della Chiesa nel rispetto dell'indipendenza e della sovranità dello Stato italiano.

Ma giustamente, io credo, il ministro è voluto andare oltre, perché, la discussione non è soltanto giuridica, bensì culturale e sotto questo profilo ha valenze importanti. Si è parlato della sovranità dello Stato. A me veniva in mente il pensiero di Sturzo secondo il quale le forme sociali originarie ed irriducibili della persona umana sono tre: la forma familiare, quella sociale (di cui lo Stato è l'espressione più alta), quella religiosa.

Ma, dice Sturzo, se ci venisse chiesto tra queste tre forme di indicare una primordialità assokuta, di fare una scelta, allora noi dovremmo dire che le forme assolutamente primarie sono quella familiare e quella religiosa, e che lo Stato ha una funzione in qualche modo strumentale, di garanzia e di promozione rispetto a queste irriducibili forme di socialità, che sono appunto la forma familiare e quella religiosa.

Questo per dire quanto importante sia sul piano dei diritti umani la dimensione della libertà religiosa. Sono soddisfatto della risposta del ministro impostata in termini di rispetto per la libertà religiosa. Non dimentichiamo di che cosa si tratta. In questi giorni si è conclusa la prima fase del processo di canonizzazione del fondatore dell'Opus Dei, Escrivà de Balaguer; riconoscimento importante da parte della Chiesa cattolica.

Dunque non siamo in presenza di un problema soltanto giuridico. La sua risposta, signor ministro, "rende giustizia", in quanto vi è un'ingiustizia oggi frequente nella nostra società causata dai padroni dell'informazione e dai programmatori della disinformazione. Nella nostra epoca, in cui la schiavitù è stata abolita, vi sono nuovi schiavi, la cui coscienza è soggiogata invisibilmente dai padroni dell'industria culturale.

La sua risposta "rende giustizia" perché fa chiarezza tra le nebbie artificiosamente create e le ragnatele volte a colpire attraverso un potente strumento di dominio delle coscienze, cioé il mezzo di comunicazione sociale (grande strumento di promozione umana, ma anche grande possibilità di pervertimento), non tanto l'Opus Dei, quant la presenza cristiana incarnata nella storia.

Il punto più delicato e grave, emerso nel dibattito di questa sera, è quanto ha detto il collega Petruccioli, forse inconsapevolmente, forse senza rendersene conto. Egli ha detto che le affermazioni che faceva nei confronti dell'Opus Dei le faceva nei confronti di qualunque altra associazione religiosa.

A parte che giuridicamente, ripeto, non si tratta di associazione ma di struttura della Chiesa, l'affermazione è grave perché rivela la difficoltà, la diversità di visione. Onorevole Petruccioli, la dimensione religiosa - per questo ho citato Sturzo - non è solo libertà di credere o di non credere al foro interiore della propria coscienza, quando si è nella propria casa o quando si è nella penombra delle sacrestie, ma è impulso a trasferire nella vita, nella storia, ciò che uno crede, ciò che uno vive.

Da cinque secoli ci siamo abituati all'idea che se Dio esiste non conta; viceversa, se Dio esiste conta, è impossibile che non conti, è impossibile che la fede non esiga, come esigenza religiosa, il cambiare il mondo, l'essere presente nella società. La riduzione della dimensione religiosa al solo privato, al solo foro invisibile della coscienza, è esattamente la teorizzazione di ogni persecuzione religiosa.

In realtà devo dire che non risulta che l'Opus Dei abbia tra i suoi fini quello di cambiare le strutture del mondo, ma - questo sì - si è proposta di rendere la vita quotidiana, la dimensione lavorativa, la dimensione professionale, l'impegno pubblico, strumento di santificazione e di servizio, cioé di combattere quella che Giovanni Paolo II ha chiamato l'eresia del nostro tempo: la divisione tra fede e vita.

L'Opus Dei pretende, nei suoi statuti, che ciò che quotidianamente si compie, si fa, si studia, si vive, esista nella dimensione della fede. Questo è propriamente, puramente e semplicemente, cristianesimo.

Dopo aver tentato di pronunciare parole che sono forti, perché cercano di scavare in profondità, dovrei dire che questa visione, che non è solo dell'Opus Dei, ma che è cristiana, non dovrebbe spaventare nessuno. E mi vengono in mente le prime parole pronunciate da Giovanni Paolo II all'inizio del suo pontificato: "Non abbiate paura di Cristo!". Dicevo che questa visione non dovrebbe spaventare nessuno, nemmeno sotto il profilo del timore che i rapporti fra credenti e non credenti, fra laici e cattolici (usiamo sempre questa terminologia imprecisa!), possano significare divisione. Non è così!

A parte il fatto che è difficile il giudizio su se stessi (è difficile sapere chi sia credente o non credente: molti pensano di essere credenti e non lo sono e molti pensano di non essere credenti e invece lo sono), a parte questo, per chi crede la ragione del dialogo è la convinzione che tutti, anche coloro che non lo sanno, sono figlio di Dio.

E' questa convinzione che fonda la comunità di ragione e di valori. Voglio dire, se guardiamo le cose in profondità, che si ripropone qui la domanda che la Chiesa italiana, nel suo documento dell'ottobre del 1982 sulle prospettive della Chiesa in Italia pose, e non solo ai credenti: "se le cose non vanno bene, è perché siamo cristiani o perché non lo siamo abbastanza?" E' un interrogativo inquietante per noi, che osiamo chiamarci cristiani, ma che illumina anche le risposte su ciò di cui stiamo parlando.

Ho detto, signor ministro, che questo dibattito rende giustizia, perché se il tono di chi è già intervenuto in quest'aula è stato pacato e ragionante, pur nella diversità delle opinioni ascoltate, è tuttavia vero che il caso Opus Dei è scoppiato sui mezzi di comunicazione sociale come una sorta di vera e propria aggressione pubblica.

E devo dire che di ciò ha già fatto giustizia lo stesso Bassanini, quando ha affermato che la P2 non è assimilabile all'Opus Dei. Ma debbo anche aggiungere che non c'è nulla di più ignobile che aver fatto passare nella mentalità della gente, che a volte legge soltanto i titoli o le didascalie delle fotografie, l'idea che vi sia qualche cosa di paragonabile tra l'Opus Dei e la P2.

Io non sono dell'Opus Dei (se lo fossi, lo direi), però nella mia vita ho conosciuto (anche prima degli statuti del 1982) molti, carissimi amici che si sono dichiarati dell'Opus Dei, che non hanno fatto misteri su questa loro appartenenza, sia dinanzi a me solo sia dinanzi ad altri amici sia in riunioni pubbliche. Ho pensato ad essi prima di cominciare a parlare e devo dire che non riesco a trovare tra costoro che ho conosciuto persone che anteponessero l'interesse a sovvertire lo Stato, ad essere qualcuno o a menare trame sotterranee; ho trovato in tutti spirito di servizio e acuto senso religioso.

Ma sappiamo cos'era condannabile della P2: non solo il segreto, ma anche lo scopo di potere, di dominio. Ebbene, io non soltanto ho conosciuto membri dell'Opus Dei, ma qualche volta sono stato chiamato a parlare in residenze universitarie, in centri e in istituzioni. Ho visto in azione un lavoro di educazione culturale non solo nei confronti di persone agiate, ma anche nei confronti delle classi più povere.

Allora, ho voluto informarmi meglio ed ho raccolto un materiale informativo che metto a disposizione di chi voglia esaminarlo. Ho qui una serie di depliants delle varie istituzioni che esistono nel mondo, che non fanno capo all'Opus Dei, ma che sono animate dallo spirito dell'Opus Dei.

Che cosa troverete se guarderete questi depliants? Troverete residenze universitarie, innanzitutto. Ad esempio, troverete il primo centro internazionale interraziale, esistente a Nairobi, nel Kenia, fin dal 1961, che ospita oggi 900 studenti.

Troverete una quantità enorme di istituzioni dirette a promuovere la condizione femminile, a liberare la donna da antiche schiavitù, in luoghi dove nessuno se ne cura. A Quito, nell'Ecuador, c'è un'istituzione per lavoratrici, che ha il fine di far ottenere loro il titolo di scuola secondaria. C'è una scuola agraria in Messico, per la formazione delle contadine. Ci sono vari centri per scienze domestiche in Guatemala.

A Montevideo c'è la facoltà tecnica delle imprese familiari. Nella Cordigliera andina, a 150 chilometri da Lima, nel Perù, c'è una scuola di sanità rurale per contadine, destinata a trovare gli operatori per il servizio di un ospedale operaio e ci sono consultori rurali per campagne di vaccinazione e di educazione sanitaria. In 26 anni questo centro ha raggiunto 10 mila donne delle località più impervie delle regioni andine, anche attraverso attività itineranti di alfabetizzazione e corsi di economia agraria e rurale.

Potrei continuare; ci sono i centri polivalenti in Nigeria, c'è l'insegnamento delle lingue in Giappone e nelle Filippine, eccetera eccetera. Tutto questo per non parlare delle università. Voi sapete che, in Spagna, se qualcuno sta malissimo, se già è stato visitato da tutti i medici, si dice che non gli resta altro che Navarra, perché nell'università di Navarra dove è presente il pensiero dell'Opus Dei c'è la facoltà di medicina più avanzata, più capace di tentare anche ciò che sembra irrevocabilmente impossibile. Tralascio una serie di altre esemplificazioni.

Si è parlato del segreto. Ma su cosa, di grazia? Si è detto che nelle costituzioni trasparirebbe per così dire la coda di paglia, quale si ravvisa in quell'articolo che fa obbligo su richiesta dei vescovi, di indicare i nomi. Ebbene, devo ricordare che assai frequentemente, negli atti costitutivi, nelle regole dei vari ordini religiosi, si ritrova questa formula, che ha un suo senso: in un ordinamento in cui non esiste una possibilità coercitiva, come quella dello Stato, la costituzione è di una importanza decisiva.

Ho davanti a me questa tanto segreta costituzione dell'Opus Dei, questo statuto stampato. E' uno statuto molto lungo, perché, in un ordinamento che non ha la forza coercitiva dello Stato, è necessario specificare e dettagliare tutto, affinché le cose siano chiare (qui ipotizzo semplicemente) in una prelatura che, come ho detto, non si fonda sul principio territoriale ma, essendo fondata sul principio personale, interferisce nelle attività delle diocesi, rendendo necessario stabilire un rapporto.

Certo, non bisogna confondere - è stato già detto - la segretezza con un obbligo di pubblicità. Nessuno ha affermato che lo Stato non potrebbe conoscere, se lo volesse, se lo ritenesse utile, se fosse ragionevole, le liste degli aderenti all'Opus Dei. Anzi, nello statuto è previsto il contrario, perché è previsto l'obbligo di rispettare le leggi dello Stato. Se domani un giudice (secondo me con un provvedimento privo di motivazione, ma in questo momento non importa) chiedesse di vedere tali liste, dove sta scritto che riceverebbe un rifiuto?

La verità è che assenza di segretezza non vuol dire liste di proscrizione, non vuol dire elenchi da additare sui giornali al pubblico abominio.
In questi giorni si sta cominciando a discutere sul tema della prostituzione; le prostitute non vogliono essere schedate. Allora sono un'associazione segreta...!

Vi prego - e mi avvio alla conclusione - di meditare sull'importanza di quello che il ministro ha detto all'inizio. Che cosa è in gioco? Questi sono dibattiti che ormai hanno assunto un tono sostanzialmente salottiero; la questione è smontata e non ne parleremo più molto. Tutto è chiaro. Ma, se non fossimo stati vigilanti, l'intolleranza, la radice dello stesso totalitarismo avrebbero potuto affondare nel terreno.

Ricordo un film (mi pare "L'uomo di marmo") che racconta una vicenda svoltasi in Polonia. Nell'ambito di questo film, che è recente, ad un certo punto la fantasia e la ricostruzione sono sostituite dalle riprese dirette; il filmato diventa impreciso e non vi è più il professionista dietro la cinepresa. Le immagini sono vere, sono quelle della firma degli accordi di Danzica.

L'ho visto in lingua polacca con sottotitoli in italiano. L'unica cosa che ricordo di questo film è che, alla fine, dopo lunghe discussioni nelle fabbriche, nel cantiere di Lenin, di fronte a migliaia di operai, il rappresentante del Governo e Walesa stanno per firmare. Ma Walesa, prima di farlo, ha un attimo di incertezza: alza la testa e domanda al rappresentante del Governo chi garantirà che il patto sarà rispettato.

Il rappresentante del Governo si alza in piedi e fa l'offeso: "Come vi permettete di dubitare della lealtà del Governo che io rappresento?". Walesa, allora, firma, dicendo sommessamente queste parole, così tradotte:

"Mah... io penso sempre a quella vecchietta che tutti i giorni va a messa nella chiesa della mia parrocchia e cambia tutti i giorni itinerario, perché si sente sempre pedinata". Nel momento solenne della firma degli accordi di Danzica (fatto vero), Walesa ha un dubbio, che gli nasce dal tentativo dello Stato di investigare sulla dimensione religiosa di questa povera vecchietta.

CLAUDIO PETRUCCIOLI - Questo vale per uno stato non democratico, caro Casini!

CARLO CASINI - Certo. Il nostro è uno Stato democratico, uno Stato libero. Abbiamo una Costituzione ed abbiamo dialogato serenamente. E' chiaro che non abbiamo la situazione della Polonia: ci mancherebbe... Il partito comunista è rispettosissimo di queste cose.

CLAUDIO PETRUCCIOLI - Infatti parliamo dello Stato italiano.

CARLO CASINI - Ma bisogna essere sempre estremamente accorti quando si parla di religione. E' vero - l'ha detto Sturzo, l'ha detto La Pira - che l'uomo si differenzia da tutto ciò che è in natura perché è capace di pregare, perché è in grado di porsi le domande sul senso ultimo della vita, che è poi la dimensione religiosa. Sottoporre questo ad inquisizione, significa sottoporre ad inquisizione il profondo dell'umanità dell'uomo.
Credo allora, collega Bassanini, che non si possa pretendere la prova diabolica. Tu stesso hai detto: io sono incerto, io sono nel dubbio...

FRANCO BASSANINI - L'ho detto perché è vero.

CARLO CASINI - Appunto. Ma essere nel dubbio dopo quanto ha detto il ministro è una scelta di dubbio radicale che sa non più di laico ma di laicista (una sorta di caccia alle streghe). Credo allora che se vogliamo veramente ritrovare la possibilità di un confronto sereno su tutto, in particolare su queste cose, dovremo veramente rimeditare a fondo su alcune parole: ad esempio la parola "laicità"; ad esempio la parola "intolleranza". (Applausi al centro).