Che cos'è l'Opus Dei

Questa intervista, raccolta da Gioacchino Navarro, è stata concessa dal Prelato dell'Opus Dei in esclusiva per "ABC"
di Madrid, e per "Avvenire" di Milano, che l'ha pubblicata in due puntate il 30 novembre e il 1° dicembre. La riproduciamo per cortese concessione del quotidiano italiano.

In questi mesi si è parlato, e scritto, molto sulla trasformazione giuridica dell'Opus Dei. Vorrei tuttavia che lei ci illustrasse sinteticamente questo evento.
Si tratta, in poche parole, solo di un cambiamento di veste giuridica. Fino a questo momento, l'Opera era - di diritto, anche se non di fatto - un Istituto secolare. Adesso il Papa ha decretato che si dia all'Opus Dei una configurazione giuridica conforme al suo spirito e alla sua realtà sociale. Lo ha eretto pertanto in Prelatura personale, in base alle norme emanate dal Concilio Vaticano II, nel Decreto Presbyterorum ordinis, n. 10, ed applicate con maggiori dettagli in due successivi documenti pontifici: il Motu proprio Ecclesiae Sanctae, del 6-VIII-1966, e la Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae, del 15-VIII-1967.

In queste norme si stabilisce l'opportunità che, per la cura di speciali necessità pastorali ed apostoliche, la Santa Sede eriga queste Prelature personali. Che cosa sono? Sono delle istituzioni ecclesiastiche di carattere giurisdizionale (governate, cioè, da un Prelato o Ordinario con potestà di regime o di giurisdizione), che, senza ledere minimamente alcuno dei diritti dei Vescovi diocesani, hanno la facoltà di incardinare sacerdoti secolari ed alle quali possono anche incorporarsi i laici attraverso un vincolo di carattere contrattuale. Tutti questi sacerdoti e laici si dedicano a perseguire, secondo Statuti propri approvati dalla Santa Sede e sotto l'autorità del Prelato, il concreto fine pastorale della Prelatura.

Come è costituita la Prelatura Opus Dei e quali sono i suoi fini?
La Prelatura Opus Dei è una Prelatura personale di ambito internazionale, con sede centrale a Roma e dipendente dalla Sacra Congregazione per i Vescovi.

Essa è costituita da un Prelato; dal clero o presbiterio della Prelatura, che sono i sacerdoti incardinati nell'Opus Dei; e dai laici che liberamente si sono incorporati o si incorporeranno ad essa nel futuro. I sacerdoti provengono esclusivamente dai laici dell'Opus Dei che ricevono i sacri ordini dopo aver svolto gli studi ecclesiastici necessari. Con ciò, pertanto, non si vengono a sottrarre sacerdoti, né candidati al sacerdozio, a nessuna diocesi.

I laici della prelatura sono uomini e donne, celibi o sposati, di ogni razza e condizione sociale, senza limite alcuno per ragioni di salute, di età, di circostanze familiari o professionali, ecc. Ciò che si richiede naturalmente a ciascuno di essi è che abbiano ricevuto dal Signore tanto la vocazione specifica per dedicarsi al fine proprio dell'Opus Dei, quanto le condizioni necessarie per assumere responsabilmente gli impegni che questa dedizione comporta.

Per quanto concerne la finalità della Prelatura, un documento della Santa Sede la definisce "doppiamente pastorale" ed aggiunge la seguente spiegazione:
"In effetti il Prelato ed il suo presbiterio svolgono un peculiare lavoro pastorale al servizio del laicato - peraltro ben circoscritto - della Prelatura; e tutta la Prelatura - presbiterio e laicato insieme - realizza un apostolato specifico al servizio della Chiesa universale e delle Chiese locali.

Sono dunque due gli aspetti fondamentali della finalità e della struttura della Prelatura, che spiegano la sua ragione di essere ed il suo naturale inserimento nell'insieme delle attività pastorali ed evangelizzatrici della Chiesa:
a) da una parte, il peculiare lavoro pastorale del Prelato con il suo presbiterio per la cura ed il sostegno dei fedeli laici incorporati all'Opus Dei nel compimento degli impegni ascetici, formativi ed apostolici, che hanno assunto e che sono particolarmente esigenti;
b) dall'altra, l'apostolato che il presbiterio ed il laicato della Prelatura portano avanti inseparabilmente uniti al fine di diffondere in tutti gli ambienti della società una profonda presa di coscienza della chiamata universale alla santità ed all'apostolato e, più concretamente, del valore santificante del lavoro professionale ordinario".

Unità con i Vescovi diocesani
In alcuni ambienti è sorta, tempo addietro, una certa perplessità relativamente allo studio, allora in corso, del cambiamento della situazione giuridica dell'Opus Dei. Vi fu addirittura qualcuno che arrivò a parlare del fatto che l'Opus Dei poteva convertirsi in una "chiesa parallela" o in una "chiesa dentro la Chiesa". Che cosa potrebbe dirci su ciò?
Questa domanda mi permette di chiarire alcuni equivoci che sono sorti durante gli ultimi tre anni nell'ambito di alcuni pochi gruppi di persone. Desidero comunque premettere che non intendo assolutamente polemizzare con nessuno.

A mio parere l'errore di affermare che cercavamo di essere indipendenti dai Vescovi poggia sul fatto che il tema della nostra trasformazione giuridica risultava difficile a capirsi se non si possedeva, assieme a certe nozioni di diritto canonico, la necessaria conoscenza dei documenti conciliari e di quelli della Santa Sede sulle nuove Prelature personali volute dal Concilio Vaticano II.

Cercherò di spiegarmi meglio. A quanto pare, alcuni di coloro che manifestarono il loro disaccordo con la richiesta di cambiamento dello status giuridico dell'Opus Dei si soffermavano solamente sull'esistenza di un tipo di Prelatura, le cosiddette Prelature territoriali, altrimenti dette nullius dioecesis, che sono le uniche contemplate nel Codice di Diritto Canonico del 1917, ancora in vigore, e che, in effetti, sono assolutamente indipendenti dai Vescovi diocesani. Non sapevano - o non tenevano conto - che il Concilio Vaticano II aveva aperto il cammino ad un altro tipo di Prelature, non territoriali ma personali, che sarebbero state erette per svolgere specifici compiti apostolici, restando debitamente salvaguardati tutti i diritti dei Vescovi dei luoghi ove esse lavorassero.

Altri - probabilmente la maggioranza - ignoravano che tipo concreto di richiesta avesse avanzato l'Opus Dei, e immaginavano richieste mai fatte come quella della Prelatura nullius dioecesis o quella della Diocesi personale che comportano una autonomia totale dai Vescovi diocesani. E si lanciarono contro questi fantasmi.

Immagino che con l'espressione "chiesa parallela" intendessero riferirsi alla possibile esistenza di un gruppo, privo dell'autorità e del controllo della Gerarchla diocesana: una specie di "Diocesi personale mondiale", o di "microchiesa" a livello universale. Indubbiamente queste espressioni non hanno nulla a che vedere con l'alveo che ha aperto il Concilio Vaticano II approvando questo nuovo tipo di Prelature, né con quello utilizzato dall'Opus Dei fino a questo momento, né tanto meno con quello che l'Opus Dei aveva richiesto alla Santa Sede.

E' comunque certo che qualcuno ha divulgato la notizia che l'Opus Dei cercava di rendersi completamente indipendente dai Vescovi. I fatti hanno smentito questa calunniosa accusa che noi abbiamo negato tante volte attraverso comunicati ufficiali di stampa, dichiarazioni, ecc., e soprattutto con la testimonianza della nostra vita e del nostro servizio alla Chiesa.

Lei mi ha premesso che non desidera entrare in polemica con nessuno, potrebbe comunque dirmi se quelle affermazioni di una pretesa separazione dai Vescovi diocesani, rese pubbliche almeno in due occasioni, obbedivano ad una campagna organizzata per impedire lo studio che si stava svolgendo nella Santa Sede?
Questo è risultato evidente, ma io preferisco dimenticarlo e perdonare come abbiamo fatto fin dal primo momento, seguendo la norma di condotta del nostro Fondatore. Desidero insistere nel sottolineare che l'Opus Dei non ha mai preteso alcuna separazione né esenzione riguardo ai Vescovi diocesani.

La nostra ragione di essere e il nostro spirito consistono nel servire la Chiesa come la Chiesa desidera essere servita. E perché questo servizio sia concreto ed efficace, in ogni diocesi dove lavoriamo, trainiamo il carro - così si esprimeva con frequenza Mons. Josemaria Escrivá - nella stessa direzione in cui lo traina il Vescovo, con lo spirito ed i modi apostolici che la Santa Sede ci ha approvato. Perciò, se in qualche luogo sorgesse un conflitto o un malinteso con il Vescovo diocesano, seguiremmo sempre - lo dico senza orgoglio - il consiglio del nostro Fondatore: non discutere - e tanto meno pubblicamente -; ma non solo, cederemmo sempre in tutto ciò che ragionevolmente si potesse cedere. E sono certo che non ci pentiremmo mai di esserci comportati in tal modo in quanto questo atteggiamento, che potrebbe sembrare, in un primo momento e umanamente parlando, pregiudizievole per l'Opus Dei, in breve tempo si dimostrerebbe sempre, grazie a Dio, fecondo.

Con il nuovo status giuridico l'Opus Dei ottiene maggior autonomia rispetto ai Vescovi diocesani?
Non abbiamo mai cercato di ottenere ciò, perché certamente non lo vuole Dio né la Santa Sede l'avrebbe ammesso, e noi stessi non lo vogliamo e neppure ne abbiamo bisogno. L'Opus Dei era già, fin dal 1947, una istituzione di diritto pontificio, con un regime di governo centralizzato, di ambito internazionale e che godeva della necessaria potestà ed autonomia per realizzare il proprio lavoro al servizio della Santa Chiesa e pertanto delle diocesi.

I nostri Statuti non hanno cambiato nulla su questo punto, e l'Opus Dei continua a mantenere con i Vescovi diocesani gli stessi rapporti di prima, come per esempio la richiesta previa di autorizzazione del Vescovo del luogo per l'erezione di un Centro della Prelatura; il rilascio da parte dell'Ordinario del luogo ai sacerdoti dell'Opus Dei - come avveniva in precedenza - delle licenze necessarie per esercitare il loro ministero con persone non incorporate alla Prelatura, ecc.

Mi è comunque grato precisare che - seguendo fedelmente la volontà del nostro Fondatore - abbiamo sollecitato espressamente la Santa Sede affinchè queste norme rimanessero immutate negli Statuti della Prelatura; con l'aiuto di Dio, nutriamo l'orgoglio santo di pregare, amare, venerare, rispettare ed obbedire, in ogni momento ed in qualsiasi circostanza, i legittimi Pastori della Chiesa, il Papa cioè ed i Vescovi in comunione con la Santa Sede.

Perciò - e lei non si può immaginare con quanta gioia lo affermi - abbiamo contato sempre, e concretamente nei recenti momenti d'incomprensione che ho appena ricordato, sull'incoraggiamento e sull'affetto della Santa Sede e di migliaia di Vescovi che conoscono e stimano i nostri desideri di lealtà e di servizio.

Il carisma fondazionale
Ma non rimane adesso l'Opus Dei più direttamente vincolata alla Santa Sede? Secondo quanto si è detto in questi mesi, sarebbe quasi un esercito personale del Papa in ogni diocesi.
Nei rapporti con la Santa Sede l'unico cambiamento consiste nel fatto che l'Opus Dei, come le altre prelature, viene adesso a dipendere da un altro dicastero: la Sacra Congregazione dei Vescovi.

Il resto può considerarlo come una nota di colore o l'espediente di qualche giornalista per "spiegare" questa decisione, senza voler entrare a fondo nelle questioni pastorali e giuridiche che il grande pubblico non conosce, e a cui forse nemmeno interessano. Ciò non toglie, ovviamente, che ogni membro dell'Opus Dei, e tutta l'Opera nel suo insieme, si impegni ad essere pienamente fedele, in ogni situazione e luogo, al Romano Pontefice. Ed è altrettanto ovvio che questa fedeltà al Papa significa pure fedeltà e stretto legame di unione con ciascuno degli Ordinari diocesani.

Ma quali motivi allora hanno spinto l'Opus Dei a chiedere il mutamento di forma giuridica?
Questa trasformazione giuridica dell'Opus Dei fu richiesta per risolvere una grave questione istituzionale la cui soluzione era da tempo pendente. Si trattava di rendere corrispondente la configurazione dell'Opera a quello che potremmo chiamare "il carisma fondazionale"; e cioè a ciò che fin dal principio Mons. Escrivá vide che doveva essere l'Opus Dei.

Dal 1928 infatti, dall'anno cioè della fondazione, egli intuì che esso doveva muoversi in un alveo similare a quello recentemente approvato, senza comunque precisare, come è logico, tutti i dettagli giuridici di questa soluzione. La precedente situazione giuridica ci collocava in uno stampo che non corrispondeva al nostro cammino ed obbligava il nostro Fondatore a fare costanti chiarimenti davanti alle autorità ecclesiastiche e civili, e davanti alla stessa opinione pubblica, al fine di difendere continuamente la nostra vocazione e di puntualizzare le caratteristiche della nostra specifica secolarità.

Il nuovo status quindi non rappresenta un desiderio di singolarità, ma, proprio al contrario, la necessità di uscire finalmente da questa singolarizzazione che venivamo costantemente assumendo nella precedente configurazione giuridica a forza di spiegare, una volta dopo l'altra, quello che non eravamo affinchè non ci si identificasse con i religiosi. Come si vede non era proprio un capriccio! Inoltre, fino al 1975, il nostro Fondatore - con tutto il peso della sua autorità morale - vigilava affinchè questa mancanza di corrispondenza fra lo spirito dell'Opera e la norma giuridica che ci era stata applicata, non producesse una deviazione dello spirito.

Ma con la sua morte questo pericolo poteva accentuarsi e cresceva pertanto il rischio che l'Opera, con il passar del tempo, perdesse il suo genuino carisma fondazionale e finisse per snaturarsi. Desidero inoltre aggiungere che la confusione che a volte si produceva a causa delle affermazioni di alcuni sul fatto che i laici dell'Opus Dei fossero "persone consacrate", portava erroneamente a dubitare della loro reale autonomia nell'ambito sociale e professionale, determinando incredibili incomprensioni e discriminazioni. Come è logico, questa situazione forzata nella quale ci trovavamo, appannava la vera natura dell'Opus Dei e limitava, in misura non irrilevante, l'efficacia e l'incisività apostolica dei laici dell'Opera.

A che scopo tanto impegno per non essere confusi con i religiosi?
La sua domanda tocca l'essenza dello spirito dell'Opus Dei e pertanto, per non dilungarmi, le risponderò molto semplicemente invitando i lettori che desiderassero una spiegazione più profonda a rimettersi ai chiarimenti che fece il nostro Fondatore in diverse interviste alla stampa, durante gli anni sessanta, e che sono state raccolte successivamente in un volume dal titolo Colloqui con Mons. Escrivá.

Lì si descrive che cos'è l'Opus Dei. Ora invece mi limiterò a dirle che dal 1928 il Signore ha voluto servirsi dell'Opus Dei per ricordare ai cristiani - ed è tornato a ricordarlo, in modo impressionante, nel Magistero solenne dell'ultimo Concilio ecumenico - che possono e devono essere santi in mezzo al mondo, senza abbandonare il proprio lavoro né i loro rapporti familiari e professionali, facendo di tutte queste realtà umane occasioni e mezzo per l'esercizio delle virtù, materia prima della propria santità e del proprio apostolato. È molto semplice pertanto la ragione del nostro impegno a non essere considerati religiosi, perché non lo siamo, né conviene alla Chiesa che ci considerino più o meno assimilati ad essi.

Ma mi consenta di approfittare di questa occasione per manifestare ancora una volta tutto l'amore e la venerazione che provo per i religiosi e che nell'Opus Dei abbiamo appreso da Mons. Escrivá. Sono sicuro che tutti i membri dell'Opus Dei vivono questo stesso spirito, dato che tutti portiamo impresse nell'anima quelle parole che abbiamo udito ripetere dal nostro Fondatore con moltissima frequenza: nell'Opus Dei amiamo con tutto il cuore e veneriamo i religiosi e se qualcuno non vivesse questa norma di condotta non vivrebbe fedelmente la sua vocazione.

Uguale affetto nutriamo anche per tutti coloro che, uomini e donne, attraverso la professione dei consigli evangelici, si consacrano a Dio in mezzo al mondo.

Perché non si è cercata una forma giuridica più conosciuta?
È questo un tema che il nostro Fondatore, e tutta l'Opera rappresentata nei nostri Congressi, ha studiato molto a fondo e sul quale si è fatta molta orazione. Perciò le posso assicurare che qualsiasi altra forma non era adeguata.

Tenga presente che lo studio giuridico non è stato una costruzione campata in aria o realizzata su basi puramente teoriche, il suo fondamento è ben concreto e risponde in primo luogo alla necessità di salvaguardare il carisma fondazionale che conteneva la volontà di Dio e, successivamente, la realtà attuale dell'Opus Dei nel suo aspetto spirituale, sociale e giuridico.

Il nostro spirito ed il nostro modo apostolico, nettamente secolare, escludevano di per sé tutte le soluzioni proprie dei religiosi e delle istituzioni che professano quel particolare stato ecclesiale che prima si chiamava "stato di perfezione", e ora viene denominato "di vita consacrata". D'altra parte l'Opus Dei, al fine di garantire il suo sviluppo apostolico, aveva bisogno di continuare ad essere un'organizzazione internazionale con una potestà ecclesiastica di regime, con governo centralizzato e con la possibilità di continuare ad incardinare i propri sacerdoti; non poteva quindi essere strutturata come un movimento apostolico o come una semplice associazione di fedeli.

Pertanto, anche solo per esclusione, se ci si può esprimere così, bisogna arrivare a concludere che la formula adottata era l'unica possibile, e a questa conseguenza, dopo anni di studio, è giunta anche la Santa Sede decretando l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale.

Un cammino iniziato nel 1928
Come si può interpretare il fatto che l'Opus Dei, almeno secondo alcuni giornali, abbia negato di aver richiesto la trasformazione in Prelatura personale?

Nessun ufficio informazione dell'Opus Dei, in nessun Paese, ha mai negato che avessimo richiesto la nostra trasformazione in Prelatura personale. In un caso concreto l'Opera venne accusata di voler trasformarsi in una Prelatura personale indipendente dai Vescovi.

Fu allora che un comunicato dell'Opus Dei, di sole quattro o cinque righe, affermò che l'Opera non aveva mai richiesto di essere riconosciuta come Prelatura o Diocesi personale indipendente dai Vescovi residenziali. Tutta la ragione di essere della smentita stava proprio in queste ultime parole, che peraltro alcuni non raccolsero, forse per non essere riusciti a captarne la portata, che era invece decisiva. Per fortuna lo fecero altri giornalisti, e in questi casi nessun lettore cadde in inganno. Desidero comunque aggiungere che questi comunicati stampa furono sempre concordati previamente con la Santa Sede.

Se il Fondatore dell'Opus Dei aspirava a questa soluzione, come mai si è tardato tanto tempo per ottenerla? Potrebbe riassumere il cammino che si è seguito per questo studio?
La storia è lunga, dato che comincia nel 1928 con la fondazione dell'Opera. Il nostro Fondatore, solo per ragioni di urgente necessità - come il fatto di dover risolvere il problema dell'incardinazione dei sacerdoti nell'Opus Dei stesso e il poter disporre di una organizzazione di regime universale che garantisse l'unità dell'Opera - si vide costretto a ricorrere provvisoriamente a formule giuridiche inadatte ma che erano anche le sole che consentiva il diritto allora vigente.

Nell'accettare queste soluzioni, sia nel 1943 che nel 1947, egli fin d'allora fece tuttavia notare all'autorità competente che sperava che si aprissero nuovi alvei giuridici che potessero risolvere soddisfacentemente il problema istituzionale dell'Opus Dei, in accordo cioè con la sua genuina natura. Il Concilio Vaticano II aprì provvidenzialmente l'alveo giuridico necessario e fu in considerazione di queste nuove possibilità che Mons. Escrivá, con l'incoraggiamento di Paolo VI, convocò nel 1969 un Congresso Generale dell'Opus Dei, allo scopo di effettuare gli studi necessari in ordine alla soluzione giuridica definitiva.

Questi studi sono proseguiti - senza fretta, ma anche senza pause - durante questi ultimi anni, e non furono interrotti neppure in seguito alla morte di Mons. Escriva, avvenuta nel 1975, né in seguito a quella di Paolo VI, nel 1978. Giovanni Paolo I, nel suo breve pontificato, dispose espressamente che si proseguisse l'esame della definitiva configurazione giuridica dell'Opera, e Giovanni Paolo II mi comunicò nel novembre del 1978 che considerava una necessità improrogabile che si risolvesse il problema istituzionale dell'Opus Dei.

Poco dopo, presentata ufficialmente tutta l'opportuna documentazione, il Santo Padre affidò lo studio della questione alla Sacra Congregazione per i Vescovi, che è il dicastero della Curia Romana competente in materia. È stata questa Congregazione, con la collaborazione di una speciale Commissione tecnica - nella quale eravamo rappresentati anche noi -, a realizzare l'incarico dopo una attenta e minuziosa valulazione di tutti gli elementi necessari di carattere storico, giuridico, dottrinale, apostolico, pastorale, ecc. Tutto questo lavoro è durato tre anni. L'ampio studio fu infine sottoposto all'esame personale del Santo Padre che prima di assumere le decisioni definitive volle contare anche sul parere di una Commissione cardinalizia ad hoc, presieduta dal Prefetto della Sacra Congregazione per i Vescovi.

Il Santo Padre indicò allora che venissero informati della sua decisione i Vescovi delle nazioni in cui l'Opus Dei, con l'autorizzazione dei rispettivi Ordinari del luogo, aveva eretto dei Centri, affinchè - se lo volevano - facessero giungere alla Santa Sede le proprie osservazioni. È già di pubblico dominio che la stragrande maggioranza dei Vescovi manifestò la propria soddisfazione per tale decisione, e che quanti inviarono delle osservazioni o chiesero chiarimenti su qualche punto, furono adeguatamente ascoltati e tenuti in debito conto.

Penso di aver risposto con ciò anche alla sua domanda sul perché si sia tardato tanto - secondo la sua espressione - per giungere a questa soluzione. È comunque logico che costituendo l'Opus Dei un fenomeno pastorale di caratteristiche realmente nuove, e trattandosi di applicare per la prima volta una formula giuridica, anch'essa nuova nel diritto generale della Chiesa, la Santa Sede abbia voluto procedere con la massima prudenza e sicurezza.

Il Papa ha approvato anche i nuovi Statuti dell'Opus Dei. Può dirci che novità comportano?
Questi Statuti sono praticamente gli stessi che Pio XII approvò ad experimentum nel 1947, e definitivamente nel 1950. Incoraggiato da Paolo VI, il nostro Fondatore convocò nel 1969 un Congresso Generale dell'Opus Dei, allo scopo di introdurre in questo testo legale le modifiche strettamente necessarie, per il momento in cui si sarebbe chiesto alla Santa Sede la trasformazione dell'Opera in Prelatura personale.

All'interno di tali modifiche, il cambiamento più importante, anch'esso desiderato da moltissimi anni dal nostro Fondatore, consiste nell'incorporazione all'Opera, che avviene ora per mezzo di un vincolo di carattere contrattuale. È l'esistenza di questo preciso accordo, tra la Prelatura e i fedeli che si incorporano ad essa, che consente di chiarire maggiormente l'ambito degli obblighi mutui, che sono - non mi dispiace ripeterlo ancora una volta, anche se si tratta di una realtà ben nota - obblighi di carattere unicamente spirituale, formativo ed apostolico.

Parallelamente allo stabilirsi di questo vincolo contrattuale, vengono soppressi negli Statuti gli elementi propri degli Istituti di vita consacrata - quelli relativi cioè alla professione dei consigli evangelici -, che si trovano al margine del cammino che vide il nostro Fondatore nel 1928, ma che dovette includere nel diritto particolare dell'Opus Dei, anche se non li aveva mai voluti, perché così lo esigeva la normativa giuridica degli Istituti secolari.

Si renderanno pubblici gli statuti dell'Opus Dei?
Sì. Sarà per me un piacere consegnarli a tutte le autorità competenti - cominciando dai Vescovi nelle cui diocesi lavoriamo - e non vedo alcuna difficoltà per renderli di pubblico dominio, con l'opportuno permesso della Santa Sede. Ciò era stato già annunziato dal nostro Fondatore durante un'intervista rilasciata alla stampa più di dieci anni fa.

La Società Sacerdotale della Santa Croce
Nei documenti firmati da lei, e che sono stati pubblicati da un quotidiano spagnolo nel 1979, si diceva che l'Opus Dei desiderava essere riconosciuto come Prelatura personale cum proprio populo. Finora invece lei mi ha parlato solo di una Prelatura personale. Si trattaa della stessa cosa, o invece l'Opus Dei ha cambiato il contenuto della sua richiesta in questi ultimi due anni?
Le spiego questo punto in quanto si tratta di una pura questione terminologica. Nel 1979, data dei documenti da lei menzionati, gli studiosi di diritto canonico distinguevano tra Prelature personali e Prelature personali cum proprio populo. Le prime erano quelle composte solo dal Prelato e dai sacerdoti, come la Prelatura de Pontigny o Mission de France, della quale avrà sentito parlare. Le seconde, invece, quelle chiamate cum proprio populo, erano Prelature personali che comprendevano anche laici, cioè con fedeli incorporati.

Era logico, quindi, che essendo l'Opus Dei composto da una grandissima maggioranza di laici, impiegassimo l'espressione cum proprio populo, altrimenti si sarebbe potuto pensare che richiedevamo l'erezione in Prelatura di una sola parte dell'Opera e cioè del clero, come se si desiderasse che i laici (più di 60.000, allora) continuassero nella loro condizione di Istituto secolare.

Nello stesso tempo, in quei documenti inviati alla Santa Sede fin dall'inizio dello studio ed in altri, si diceva che - anche se veniva impiegata l'espressione "cum proprio populo", per evitare l'equivoco al quale ho appena fatto riferimento - non si pretendeva in nessun modo (perché non era mai stata questa la volontà del nostro Fondatore) che i fedeli della Prelatura restassero sotto la completa ed esclusiva dipendenza del Prelato, e cioè, indipendenti o esenti dalla giurisdizione che il Diritto comune attribuisce ai Vescovi diocesani.

Fortunatamente, nel dicembre del 1980, la Commissione Pontificia per la revisione del Codice di Diritto canonico, nell'informare sulla sua rivista Communicationes intorno ai lavori che la Commissione compiva in relazione alla figura giuridica delle Prelature personali, fece sapere che era stata soppressa nei progetti dei canoni l'espressione cum proprio populo, dato che essa per varie ragioni tecniche risultava inadatta. Logicamente - e aggiungerei, con soddisfazione - ci siamo adeguati allora a questa norma di precisione giuridica e terminologica, senza necessità alcuna di cambiare il contenuto della nostra richiesta, che è rimasta quindi la stessa che la Santa Sede ha ora definitivamente sanzionato.

I sacerdoti incardinati nelle diocesi possono divenire soci dell'Opus Dei?
Il presbiterio della Prelatura Opus Dei è composto unicamente ed esclusivamente dai sacerdoti dell'Opus Dei, provenienti dai laici della Prelatura che dopo aver terminato gli studi ecclesiastici ricevono gli ordini sacri ai quali sono chiamati dal Prelato.

Ma esiste anche - inseparabilmente unita all'Opus Dei - la Società Sacerdotale della Santa Croce, della quale è Presidente Generale il Prelato dell'Opus Dei. A questa Associazione possono appartenere con un vincolo di carattere meramente associativo i sacerdoti incardinati in qualsiasi diocesi, senza che ciò li ponga sotto la potestà giuridica del Prelato, e senza che si perda o si debiliti minimamente il vincolo che essi posseggono con le loro rispettive diocesi e con il proprio Ordinario.

Come lei saprà, il Concilio Vaticano II, nel Decreto sui presbiteri, elogia e stimola le Associazioni dirette a fomentare la santità dei sacerdoti nell'esercizio del loro ministero. Questo è appunto il fine della Società Sacerdotale della Santa Croce, che offre ai suoi soci l'opportuna cura spirituale ed ascetica, che non solo conserva integra ma anzi rafforza l'obbedienza canonica che essi devono al loro Vescovo.

Non si presenta pertanto alcun problema di doppia obbedienza che possa creare conflitti, e ciò non avviene per la semplice ragione che, con la nuova formula che ha consentito l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura, questi sacerdoti non vengono ad avere un duplice superiore - il proprio Vescovo, cioè, e un superiore interno dell'Opus Dei -, ma ne hanno uno solo: ciascuno il proprio Vescovo.

Questa soluzione, sempre desiderata dal nostro Fondatore, ma che non fu possibile adottare fintanto che l'Opus Dei rimase di diritto un Istituto secolare, è perfettamente chiara. Mi permetterei perciò di dire, anche per l'esperienza di tanti anni, che con ciò migliora e si potenzia enormemente il servizio pastorale che questi sacerdoti prestano alle loro diocesi, dato che l'aiuto spirituale ed ascetico che ricevono dalla Società Sacerdotale della Santa Croce li porta, tra l'altro, a mantenere una disponibilità esemplare di fronte alle richieste dei loro Ordinari e di fronte alle necessità delle diocesi.

Con il nuovo status giuridico l'Opus Dei non corre il rischio di isolarsi e di convertirsi in un gruppo di cristiani, anche di ottimi cristiani se si vuole, ma che vivono al margine degli altri membri della Chiesa? Voglio chiederle se con ciò non si viene a favorire la costituzione di una "chiesa d'élite", chiusa in se stessa.
Mi sembra di aver già risposto, o per lo meno in parte, a questa domanda. Comunque non ho alcuna difficoltà ad insistere sul tema. Le dicevo qualche momento fa che la nuova situazione giuridica non ci separa minimamente dai Vescovi, e le aggiungo adesso che non ci trasforma per nulla in un gruppo separato dagli altri sacerdoti e laici della Chiesa. Questa nuova forma viene a sanzionare ciò che è una realtà vissuta e cioè che i sacerdoti dell'Opus Dei sono pienamente secolari - sia per la loro formazione che per il loro spirito e la loro mentalità, sia per il modo in cui svolgono il loro ministero, ecc. - e inoltre si sentono portati ad esercitare e a stimolare l'unità fraterna con gli altri sacerdoti del rispettivo presbiterio diocesano, al quale anch'essi appartengono.

I laici, da parte loro, sono comuni fedeli che dipendono dal Vescovo, né più né meno come tutti gli altri fedeli della diocesi, per ciò che concerne il diritto comune della Chiesa. La loro dipendenza dal Prelato dell'Opus Dei, per ciò che riguarda gli impegni ascetici, formativi ed apostolici assunti con la loro incorporazione alla Prelatura, rafforza la loro unione al rispettivo Vescovo diocesano, dato che l'Opera li aiuta a lottare per essere dei fedeli e dei cittadini cattolici esemplari.

Risulta pertanto evidente che non esiste il rischio che lei segnalava che l'Opera possa rinchiudersi in se stessa. Anzi le dirò che i frutti del lavoro dell'Opus Dei restano proprio, nella loro assoluta maggioranza, nelle diocesi in cui noi lavoriamo, ed è un gran dono di Dio per qualsiasi diocesi poter contare su un buon numero di cristiani di prestigio per la loro professione o mestiere, che s'impegnano a condurre una vita d'intensa orazione e ad offrire una sincera testimonianza cristiana pur attraverso le proprie limitazioni personali. Tenga anche conto che tutti questi uomini, e queste donne, cercano costantemente di trasmettere i loro ideali ai parenti, ai colleghi ed agli amici, avvicinandoli ai sacramenti e alla vita della grazia e facendoli partecipare più intensamente alle attività delle rispettive comunità parrocchiali.

Le diocesi traggono gran beneficio dalle famiglie cristiane che questi uomini e queste donne costituiscono e per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa che sbocciano dai loro focolari cristiani. Inoltre, tutta la comunità civile godrà anche delle iniziative assistenziali, educative, di promozione sociale, ecc. che i membri dell'Opus Dei suscitano in tutto il mondo e sempre in collaborazione con molte altre persone, anche non cattoliche e non cristiane.

Ma neppure da un punto di vista sociologico la Prelatura potrebbe costituire una "chiesa d'élite" dato che all'Opus Dei possono appartenere - e di fatto vi appartengono - persone di tutte le professioni, mestieri e condizioni sociali.

La Commissione pontificia per la riforma del Codice di Diritto canonico è intervenuta nello studio della richiesta presentata dall'Opus Dei?
No. La nostra richiesta non si fondava su norme del futuro Codice di diritto canonico, ma sulla normativa conciliare e post-conciliare già in vigore nella vita della Chiesa. A questo proposito, voglio chiarire il seguente errore: si è detto, e si è ripetuto, che l'Assemblea plenaria della Commissione pontificia per la riforma del Codice di Diritto canonico, riunita a Roma alla fine dell'ottobre del 1981, aveva respinto la richiesta dell'Opus Dei di essere trasformato in Prelatura. Ciò non è vero.

La Commissione Pontificia per la revisione del Codice di Diritto canonico, infatti, non poteva occuparsi della nostra petizione, né nella sua riunione plenaria di ottobre, né in nessun'altra occasione, per evidenti ragioni di competenza, dato che il suo compito è di preparare una legge generale - il nuovo Codice -, e pertanto in nessun modo cerca soluzioni per casi particolari il cui studio non le era stato affidato. E poi, come le ho detto, la richiesta di trasformazione giuridica dell'Opus Dei non si fondava su possibili norme del futuro Codice, ma sulla normativa vigente.

In quanto Presidente dell'Opus Dei, e in quanto Consultore della stessa Commissione pontificia per la revisione del Codice di Diritto canonico, sapevo bene che era falso che l'Assemblea plenaria di tale Commissione avesse respinto la richiesta dell'Opus Dei di essere eretto in Prelatura personale. Ma preferii tacere, perché non potevo, né volevo aprire una polemica.

A parte ciò, e perché lei si renda ben conto che queste due cose - l'Assemblea plenaria della Commissione del Codice e la richiesta dell'Opus Dei alla Santa Sede - non erano questioni in relazione tra loro o che si condizionassero negativamente, le aggiungerò un dato di calendario abbastanza eloquente: il Santo Padre decise che si muovessero i passi necessari per giungere ai risultati che oggi stiamo commentando, il 7 novembre 1981 - così mi fu comunicato ufficialmente -, cioè solo una settimana dopo che ebbe luogo la citata sessione plenaria e precisamente nei giorni in cui apparvero su alcuni giornali quelle informazioni errate.

Bilancio & previsioni
Con questo cambiamento giuridico si può dire che si chiude una fase della vita dell'Opus Dei. Vorrebbe fare un bilancio delle attività e dell'espansione dell'Opera durante questi anni trascorsi, ed una previsione sul lavoro del prossimo futuro?
Anche se, come ripeto, il cambiamento è stato solo di veste giuridica e nulla quindi che appartenga all'essenzialità dell'Opus Dei è mutato, posso egualmente affermare che è stato compiuto un passo molto importante per il quale il nostro Fondatore ha pregato ed ha fatto pregare con grande fede durante molti anni, anche quando tutti i cammini giuridici erano ancora chiusi. Ma da ora in poi i membri dell'Opus Dei potranno lavorare al servizio della Chiesa e della società con molta più pace e naturalezza.

Mi chiede un bilancio e delle previsioni. Nell'Opus Dei non siamo molto amici delle statistiche sul lavoro apostolico. Anche se rispetto assolutamenute l'opinione contraria, ritengo comunque che nelle opere di apostolato bisogna attribuire un'importanza molto secondaria a questi dati.

E ciò perché da una parte le cifre possono offrire - quando il lavoro è fruttuoso - una certa sensazione di potenza umana, di superbia collettiva - per dir così -, che potrebbe allontanarci da Dio e renderci sgradevoli davanti agli uomini. Dall'altra perché nelle realtà soprannaturali ciò che importa è lo spirito e la fedeltà alla Volontà di Dio. Il Signore, che è onnipotente, agisce con efficacia attraverso questi strumenti - poveri, sì, ma fedeli - anche se agli occhi degli uomini essi appaiono come inutili o di scarso valore. La storia abbonda di esempi ben noti, per cominciare dai dodici Apostoli, che senza alcun dubbio non erano certo, umanamente parlando, gli strumenti più idonei ad evangelizzare il mondo intero.

Comunque, per aiutare i suoi lettori a farsi un'idea, le dirò che attualmente i membri dell'Opera superano i 70.000, dei quali più di un migliaio sono sacerdoti; e le dirò anche che dalla morte del Fondatore abbiamo notato sempre con maggior forza la sua intercessione e la sua spinta apostolica.
Rispetto al futuro, le ripeterei solo che ciò che veramente importa è mantenere la fedeltà allo spirito fondazionale dell'Opus Dei, la vibrazione apostolica, l'ansia di trattare Dio e la sua Madre Santissima, la generosa dedizione personale - realizzata con sacrifìcio - al servizio degli altri; e, perché no, il coraggio d'impostare e di realizzare le opere d'apostolato, senza fermarsi davanti alle difficoltà, che non mancheranno mai, e senza attribuire molta importanza alle chiacchiere. Di tutto il resto - e cioè di inviarci le persone disposte a sobbarcarsi il peso di servire la Chiesa e le anime - si occuperà il Signore, come ha fatto finora.

Dalle cifre che le ho fatto, lei stesso potrà dedurre che siamo solo agli inizi e, anche se non siamo così pochi, l'Opera è ancora giovane. Ma dovendo veramente distinguere fra Paesi in cui l'Opus Dei è già più sviluppato ed altri dove stiamo appena cominciando, a grandi linee le posso confermare che l'Opera ha già gettato radici profonde in quasi una cinquantina di Paesi, ove conta su uomini e donne locali disposti a lavorare per Gesù Cristo servendo la società e cercando di santificare le proprie attività secondo lo spirito dell'Opus Dei.

Come vede il lavoro non manca, e per portarlo avanti come Dio vuole abbiamo bisogno di contare anche sulle sue preghiere e su quelle dei suoi lettori.