Intervista
con Mons. Javier Echevarría (estratto)
D
- Monsignore, sappiamo che Lei segue molto da vicino gli
avvenimenti della Colombia, e gliene siamo riconoscenti.
Noi colombiani siamo in maggioranza cattolici e sappiamo
di dover contribuire a creare una società giusta.
Cosa ci suggerisce per contribuire a risolvere i gravi
conflitti – la guerra civile e il terrorismo - che
il Paese sta attraversando?
R
- So che l’attuale situazione è per voi colombiani
fonte di sofferenza e che in un modo o nell’altro
tutti ne pagate le conseguenze. Il pericolo è che
qualcuno cada in una sorta di rassegnazione. Di fronte
ai problemi non si può restare passivi. Bisogna
cercare una soluzione senza stancarsi, senza perdere la
speranza e con senso di responsabilità, adoperandosi
- nel posto che ciascuno occupa nella società -
per dare un contributo personale alla pace.
La
pace è come un grande fiume alimentato da numerosi
affluenti e sorgenti: tutti sono importanti. Bisogna svolgere
un intenso apostolato a favore della pace; un apostolato
che è la sintesi dell’orazione, dello spirito
di comprensione e della collaborazione di tutti.
Prima
di arrivare qui soffrivo per voi; ora che sono in Colombia
soffro ancora di più. Il problema che angustia
ora la Colombia riguarda anche il resto del mondo. Prego
incessantemente la Madonna perché ottenga la pace
per questa terra.
La chiesa prelatizia dell’Opus Dei a Roma è
intitolata a Santa Maria della Pace e, in fondo alla navata,
c’è un candelabro votivo con candele sempre
accese per invocare dalla Madonna la pace per ogni persona
e per tutta l’umanità. Una di queste candele
arderà in continuazione per impetrare la pace per
la Colombia.
Vi
consiglio inoltre di rivolgervi all’intercessione
del Beato Josemaría, grande amico e promotore della
pace, e che ama molto il vostro paese. Vorrei tanto che
molti lo invocassero per chiedere la pace per questa vostra
terra.
D
- Nei presenti sconvolgimenti sociali, quale dovrebbe
essere, a suo parere, il ruolo dell’Università
della Sabana e, più in generale, dell’Università?
R
- Mi viene in mente ciò che rispose il Beato Josemaría
a un giornalista che gli aveva rivolto una domanda analoga.
Disse che l’Università non è estranea
ai problemi umani. Essa è il luogo idoneo per acquisire
la preparazione che permetterà di contribuire a
risolvere i grandi problemi sociali e a difendere i diritti
fondamentali della persona.
Non dobbiamo comunque dimenticare che non c’è
un solo modo di risolvere i problemi sociali. Per la soluzione
di un problema specifico vi possono essere proposte diverse
e tutte legittime. L’Università deve rispettare
questa libertà per svolgere il suo ruolo nella
società.
Giovanni
Paolo II diceva anni addietro ad un gruppo di studenti
universitari che “la Chiesa non ha pronto un progetto
di università né di società; ha però
un progetto di uomo, di un uomo nuovo rinato attraverso
la grazia” (Omelia agli universitari, 5.VI.1979).
Per questo l’Università deve far sì
che gli studenti ricevano una formazione integrale e comprendano
la grandezza di questo progetto di uomo nuovo rinato attraverso
la grazia.
E lo possono comprendere in modo vitale, iniziando liberamente
– è una possibilità valida per tutti
- un cammino personale di rinnovamento spirituale, con
l’indispensabile aiuto dei sacramenti. Perché,
lo sapete bene, scienza e fede avanzano tenendosi per
mano. La fede che professate illumina il vostro lavoro
intellettuale e la scienza che insegnate vi aiuta ad approfondire
la fede.
D
- La cultura attuale è quella dell’uomo moderno
con i suoi progressi tecnologici e la facilità
di comunicare, ma anche i suoi problemi. La concezione
pluralista oggi dominante a volte sembra schiacciarci.
Come possono coesistere la nostra identità e la
costruzione del futuro con la fede e la ragione, come
dice Giovanni Paolo II? Come essere cristiani nel XXI
secolo?
R
- Il pluralismo culturale non rappresenta un problema
per i cristiani, ma una realtà da accettare. Il
Papa in diverse occasioni ci ha sollecitato a portare
a termine la nuova evangelizzazione anche nel campo della
cultura. Non c’è alcun motivo di timore.
Nella
Lettera Novo Millennio Ineunte egli dice che “Nella
condizione di più spiccato pluralismo culturale
e religioso, quale si sta prospettando nella società
del nuovo millennio, tale dialogo è importante
anche per mettere un sicuro presupposto di pace”
(n. 55). E più recentemente ha affermato che la
globalizzazione “non è, a priori, né
buona né cattiva. Sarà quel che la gente
la farà diventare.
Nessun
sistema è fine a se stesso, e occorre insistere
sul fatto che la globalizzazione, come qualunque altro
sistema, deve essere al servizio della persona umana,
della solidarietà” (Discorso alla Pontificia
Accademia delle Scienze sociali, 27.IV.2001, n. 2).
Il
vero problema è dunque l’individualismo egoista
e il Papa ci incoraggia a correggere questa nostra tendenza.
“E’ l’ora di una nuova ‘fantasia della
carità’, che si dispieghi non tanto e non
solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella
capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre”
(Novo Millennio Ineunte, n. 50).
In
questo senso, si può e si deve favorire nel mondo
attuale la globalizzazione della carità, con l’aiuto
della scienza, della tecnologia, delle arti e della facilità
di comunicare. Ma non ci sarà solidarietà
globale senza solidarietà personale.
D
- La società attuale si caratterizza per la cura
dell’immagine e dell’apparenza. La verità
è considerata una cosa secondaria, talvolta sconveniente
o antiquata. Si accetta la realtà quasi con una
strizzatina d’occhio. Però è certo
che senza verità non c’è spazio per
una vita coerente. Che cosa possiamo fare per coltivare
la verità ed essere coerenti?
R
- In quanto universitari avete l’obbligo di ricercare
e trasmettere la verità. Il cristiano coerente
si rifiuta di convivere con la menzogna o con la frivolezza.
Per questo i cristiani risultano scomodi in un mondo fatto
di interessi, dove contano solamente il potere, il denaro
e i simboli della ricchezza.
Ma
nel mondo ci sono molti “nostalgici” della verità.
Anzi, in un certo senso, lo siamo tutti. Abbiamo “nostalgia”
di una verità bella, pulita e trasparente: splendente,
potremmo dire parafrasando il titolo di una enciclica
del Papa. Chi di noi non desidera la compagnia di un amico
sincero che dice la verità, che non ci inganna,
che non è egoista, che ci aiuta e che ci corregge
quando occorre? “Dire la verità con carità”
è un detto cristiano capace di saziare la sete
di questo nostro mondo.
D
- Il suo recente libro ‘Itinerari di vita cristiana’
ha avuto un notevole successo. Com’è possibile
un fatto del genere in questa società apparentemente
così indifferente agli ideali? Quale tra i temi
trattati nel libro vorrebbe particolarmente sottolineare?
R
- Le donne e gli uomini di oggi hanno fame di Dio. Il
Papa lo ha espresso bene dicendo che stiamo iniziando
una nuova primavera cristiana. Abbiamo appena finito di
celebrare il grande Giubileo dell’anno duemila, un
anno di ringraziamento per l’Incarnazione del Figlio
di Dio. E’ Gesù Cristo, come sempre, la novità
permanente verso cui si dirigono tutti i nostri progetti,
anche quelli del secolo XXI, riassumibili nell’espressione
‘riempire di significato cristiano la vita ordinaria’.
E’
questo il nocciolo del messaggio del Beato Josemaría.
Il libro ‘Itinerari di vita cristiana’ è
nato a partire dalla mia esperienza di vita quotidiana
accanto al Fondatore dell’Opus Dei tra il 1950 e
il 1975: venticinque anni in cui ho visto il Beato Josemaría
cercare, frequentare e amare Gesù. Con il libro
ho voluto contribuire a far riscoprire il volto di Cristo
verso il quale ci ha indirizzati Giovanni Paolo II durante
il Giubileo.