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Data: 1994
Autore: V. Messori
Fonte: Opus Dei. Un'indagine
Editore: Mondadori
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A proposito di mortificazione corporale

Ma una breve parentesi si impone. Non a caso, in effetti, nell'ultima citazione abbiamo messo in corsivo le parole "non esclusa la mortificazione corporale". Non escluso, pertanto, persino il famoso cilicio, che ha una parte di rilievo nella leggenda della Obra, covo degli ultimi oscurantisti medievali. Se ricordate, vi abbiamo già fatto cenno, parlando dello scandalo dei peraltro sospetti movimenti antisètte. Questa non è forse, oggi, un'aberrante, morbosa forma di masochismo, indegna, tra l'altro, di un cristianesimo "adulto", "aperto"? Non è la solita, cupa Spagna dei fanatismi sanguinosi?

Come impongono le regole della giustizia, "audiatur et altera pars". Sentiamo allora la difesa, sostenuta da una persona che, anche se non lo dice, da sperimentato numerario deve avere usato il famoso "strumento di tortura" (consistente poi, in sostanza, in una sorta di cintura di lana ruvida - da portare intorno alla vita o alla gamba - con dei nodi o, in qualche caso, delle punte non acuminate, che premono cioè sulla pelle senza penetrarvi):

"Poiché hanno perso il significato della penitenza e della mortificazione persino nella vita spirituale, molti uomini di oggi si stupiscono, quando non si scandalizzano, che - nell'Opus Dei - alcuni membri includano tra le mortificazioni corporali l'uso del cilicio.

Alcuni, dico: non la maggioranza; e anche costoro per un tempo limitato. Non c'è da stupirsi di questo stupore: la croce è sempre stata motivo di scandalo. Comunque, è certo che oggi le persone si espongono a grandi sacrifici, se non a sofferenze corporali (ginnastiche, diete, chirurgie estetiche), per conservare o recuperare una certa immagine esteriore che gli altri possano ammirare.

È ugualmente una verità che, per ottenere una certa soddisfazione fisica, molte altre persone si imbarcano in una direzione, come quella delle tante droghe, dalla quale finiscono con il ricevere non piacere ma patimenti, vere e spesso terribili "mortificazioni" per se stesse e soprattutto per coloro che stanno loro intorno e che vogliono loro bene. Mentre questo avviene, molti non si sforzano neppure di capire il senso profondo di una "mortificazione corporale" che non fa danno alla salute e che esprime il desiderio di unirsi, almeno per quel poco che un pover'uomo può fare, al sacrificio di Cristo.

Si comprende che, in un'epoca nella quale si diffondono messaggi del tipo "Non privarti di nulla!", sia divenuto oltremodo difficile capire le ragioni stesse della penitenza e della mortificazione. Se "si può fare tutto"; se nulla è male, una volta che è stato deciso in piena autonomia; se, in definitiva, non esiste il peccato, allora non c'è proprio nulla per cui fare penitenza. Risulta così inintelligibile la "mortificazione" (cioè, il profondo paradosso evangelico secondo il quale, per vivere, bisogna in qualche modo morire: come Cristo, il cristiano deve scendere nella tomba per, come Cristo, uscirne per la vita eterna).

Si noti però bene questo: tra i motti più gridati della nostra epoca c'è: "II corpo è mio e faccio con esso quel che mi pare e piace". E perlomeno contraddittorio che si ammetta la liceità di qualunque comportamento corporale, inclusi quelli aberranti, e sia motivo di scandalo il fatto stesso della penitenza cristiana" (Rafael Gómez Pérez).

In ogni caso, né il cilicio né altri "strumenti di mortificazione" sono una esclusiva di quest'Opera: fanno parte dell'antichissima tradizione ascetica della Chiesa e sono stati impiegati da tutti i santi.

Nella prospettiva di Escrivà - in linea, qui come altrove, con la più antica Tradizione della Chiesa - penitenze e mortificazioni sono "la preghiera del corpo"; il ritrovare, cioè - in questa partecipazione "materiale" all'orazione -, l'unità dell'uomo, che non è solo spirito, anima, cuore. Anche quegli "esercizi ascetici" (sempre discreti, praticati senza pesare su altri, senza darlo a vedere, senza farne un merito o un vanto) sono un mezzo per esercitare la volontà, in un mondo sempre più di svogliati, di indifferenti, di velleitari.

E possono, debbono essere - quegli "esercizi" - non soltanto "attivi", ma anche "passivi"; non tanto, dunque, cercare sofferenze, ma accettare quanto dà, giorno dopo giorno, la vita normale, la quotidianità che deve caratterizzare in ogni cosa chi si metta su questa strada: "La battuta che non uscì dalla tua bocca; il sorriso amabile per colui che ti annoia; quel silenzio davanti a un'accusa ingiusta; la benevola conversazione con i seccatori e gli importuni; quel non dare importanza ai mille particolari fastidiosi e impertinenti delle persone che vivono con te [...]. Tutto questo è davvero solida mortificazione interiore".

Così Cammino, nel pensiero 174, cui segue quest'altra esortazione: "Non dire: quella persona mi secca. Pensa: quella persona mi santifica".

 

 

 

Josemaría Escrivá