Con
una "pazzia d'amore"
Questo
termine pittoresco ed espressione della tensione mistica dell'autore
ricorre specialmente in Cammino, e torna negli altri due volumi della
"trilogia spirituale". Leggiamo infatti: con Dio "sii audace: digli che
per Lui sei più pazzo di Maria Maddalena, più di
Teresa e di Teresina..., più folle di Agostino, di Domenico
e di Francesco, più di Ignazio e di Saverio" (Cammino, n.
402).
E
di lì a poco l'espressione è applicata al mistero
della Santa Eucaristia (cfr ibidem, n. 432) (44).
Da qui scaturiscono i propositi: "Gridaglielo forte, perché
è un grido di pazzia da innamorato!: Signore, anche se ti
amo... non fidarti di me! Legami a Te, ogni giorno di più!"
(Solco, n. 799). Con slancio: "Sapere che mi ami tanto, Dio mio, e...
non sono impazzito?" (Cammino, n. 425). Ancora, in un contesto
eucaristico che è insieme un velato spunto autobiografico:
"Pazzo! - Ti ho visto - ti credevi solo nella cappella episcopale -
deporre un bacio su ogni calice e su ogni patena appena consacrati:
perché Egli trovasse quel bacio nel "discendere" per la
prima volta in quei vasi eucaristici" (Cammino, n, 438).
Proprio
da qui scaturisce il modello della "pazzia", che - in un itinerario di
annichilimento che abbiamo già incontrato - si rivela
"divina pazzia"; "II pazzo più grande che ci sia mai stato e
che mai ci sarà è Lui. C'è pazzia
più grande di darsi come e a chi Egli si dà?
Perché sarebbe già stata pazzia il farsi e
restare Bambino indifeso; però, in tal caso, anche molti
cattivi si sarebbero inteneriti, e non avrebbero osato maltrattarlo.
Gli parve poco: volle annichilirsi di più e darsi di
più. E si è fatto cibo, si è fatto
Pane. - Divino Pazzo! Come ti trattano gli uomini?... E io stesso?"
(Forgia, n. 824).
Ancora,
incoraggiando: "Non farci caso. - I "prudenti" hanno sempre chiamato
pazzie le opere di Dio. - Avanti, audacia!" (Cammino, n. 479).
Come
misura dello zelo: "Piccolo amore è il tuo se non senti lo
zelo per la salvezza di tutte le anime. - Povero amore è il
tuo se non sei ansioso di contagiare la tua pazzia ad altri apostoli"
(ibidem, n. 796) (45).
In
un contesto simile ma con maggiore efficacia: ""Una buona notizia: un
nuovo pazzo..., per il manicomio" (46). - E tutto è giubilo
nella lettera del "pescatore". Dio colmi di efficacia le tue reti!"
(ibidem, n. 808). E ritorna con insistenza sulla misura dello zelo: "Lo
zelo è una divina pazzia d'apostolo, che io desidero per te,
e ha i seguenti sintomi: fame di stare con il Maestro; preoccupazione
costante per le anime; perseveranza che nulla fa venir meno" (ibidem,
n. 934).
È
questo secondo Escrivá il movimento naturale della nostra
vita soprannaturale! È nella contemplazione della vita
intima di Dio nella Santissima Trinità, che l'anima sua si
dilata, commossa e felice: "Abbiamo corso come il cervo, che anela le
fonti delle acque; assetati, con la bocca riarsa, come inariditi.
Vogliamo bere a questa sorgente di acqua viva. Senza fare cose strane,
nelle nostre giornate ci lasciamo portare da questa corrente generosa e
chiara di fresche acque che zampillano nella vita eterna. Le parole
vengono meno, la lingua non riesce a esprimersi; anche l'intelletto si
acquieta. Non si ragiona, si guarda! E l'anima erompe ancora una volta
in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata
dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata" (Amici di
Dio, n. 307).
Siamo
qui, mi sembra, sulla vetta della vita soprannaturale, e veniamo
confermati nella persuasione che monsignor Escrivá non sia
soltanto un modello di azione infaticabile per le opere di apostolato,
ma anche una guida per le ascensioni superiori dell'anima.