Cristo
sulla Croce
II
tema della Passione del Signore è uno dei motivi costanti
della spiritualità del fondatore dell'Opus Dei: non a caso
la denominazione completa dell'Opera da lui fondata è
Prelatura della Santa Croce e Opus Dei. Basti anche notare che
nell'esposizione di uno degli argomenti prediletti, quello della
libertà del cristiano - com'è stato da me
ricordato in occasione della sua preziosa morte - (34),
egli guarda alla Croce stimolando i fedeli a uscire nel mare aperto
della vita ecclesiale "con la libertà dei figli di Dio, che
Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce" (Amici di Dio,
n. 297).
Un
modo nuovo - nuovo nell'attività e antico nella
spiritualità - di tendere alla santità e portare
l'annuncio della salvezza, in un'epoca (come la nostra) senza Dio,
additando il legno che ha sostenuto i martiri e illuminato i santi di
tutti i tempi: la Croce di Cristo, golfo mistico di ogni anima
cristiana che guarda oltre il tempo ed è "in cammino" per
l'eternità. Un tema ostico per il mondo, e forse anche per
molti cristiani dei nostri tempi facili ai compromessi: amare la Croce,
sopportare tutto il corteo di tribolazioni che offre la vita,
è un dono di Dio, quasi il profumo di una rosa che il Padre
celeste fa fiorire nel deserto turbinoso della vita moderna. Eppure per
il cristiano la Croce è la via regia della salvezza: oggi
per Escrivá, come ieri per l'ispirato autore dell'Imitazione
di Cristo.
"Contemplativi
nell'azione e attivi nella contemplazione", può essere il
motto di questo umile sacerdote trascinato dallo Spirito Santo, come
quasi otto secoli fa fu san Francesco che - insignito delle Piaghe di
Cristo - fu chiamato a sostenere la barcollante "Casa di Dio".
E
per seguire da vicino l'invito che egli, per averne fatta personale
esperienza, rivolge a ogni cristiano, di far propria la passione e la
morte del Signore, niente di meglio del semplicissimo e tradizionale
itinerario della Via Crucis, dove egli, nell'opera omonima, ha
riassunto un programma di conformazione al Redentore. Tracciando
l'itinerario di una robusta vita interiore, l'autore esorta con
affettuosa comprensione ma insieme con ardimento mistico: "Mettiti
nelle Piaghe di Cristo Crocifisso. - Lì apprenderai a
custodire i tuoi sensi, avrai vita interiore, e offrirai continuamente
al Padre i dolori del Signore e quelli di Maria, per pagare i tuoi
debiti e tutti i debiti degli uomini" (Cammino, n. 288). È
questo il testo con il quale il suo successore nella direzione
dell'Opus Dei, monsignor Alvaro del Portillo, attuale Prelato
dell'istituzione, presenta la Via Crucis, ricavata anch'essa dalle sue
predicazioni e conversazioni domestiche.
"Per
questo" - diceva ancora - "da sempre ho consigliato la lettura di buoni
libri che narrino la Passione del Signore. Tali scritti, pieni di
sincera devozione, ci fanno pensare al Figlio di Dio, uomo come noi e
vero Dio, che ama e che soffre nella sua carne per la redenzione del
mondo" (Amici di Dio, n. 299).
La
Via Crucis ci introduce nel giardino ove fioriscono i fiori della
compunzione del cuore, la quale, fondata sulla meditazione della
Passione di Cristo, informa dall'interno la spiritualità che
Dio ha voluto per l'Opus Dei. L'aggiornamento della vita del cristiano
nel mondo contemporaneo è la "contemporaneità"
con Cristo, con la sua Croce, la quale, secondo Escrivá - e
anche questo è un ritorno alle origini della
spiritualità cristiana che spesso ricorda il timbro
squillante di santa Caterina da Siena -, se è stata tanto
dolorosa per Lui, è divenuta per noi fonte di
felicità: "Pensa che Dio ti vuole contento e che, se da
parte tua farai tutto il possibile, sarai felice, molto felice,
felicissimo, anche se in nessun momento ti mancherà la
Croce" (ibidem, n. 141 ).
E
ora con fierezza: "La Croce non è più un
patibolo, è il trono dal quale Cristo regna" (ibidem), E con
Gesù viene Maria, l'altro grande amore di
Josemaría Escrivá: "E, accanto, c'è
sua Madre, che è anche Madre nostra. La Vergine santa ti
otterrà la fortezza di cui hai bisogno per camminare con
decisione sulle orme di suo figlio" (ibidem). Un'atmosfera di
serenità e di fiducia in Dio, quasi un profumo di "dolore
d'amore", come leggiamo ancora nella Presentazioni:, un "nuovo stile"
di spiritualità, di tendere cioè alla perfezione.
Ma questa nostra espressione è zoppa, certamente assai
impropria: eppure vuole cogliere l'originalità - e questa
è innegabile - della spiritualità d'un autore,
che è quella di non voler essere originale, per attenersi
sine glossa al Vangelo, per conformarsi, come l'Apostolo, a Cristo
crocifisso.
Colpisce
anzitutto l'insistenza sul tema del peccato: "Uomini, sì, ma
con orrore per il peccato grave. Uomini che aborriscono le mancanze
veniali e che, pur avendo la quotidiana esperienza della propria
debolezza, conoscono bene anche la fortezza di Dio" (Via Crucis, p.
60). Ancora: "La debolezza del corpo e l'amarezza dell'anima (35)
hanno provocato la ricaduta di Gesù. Tutti i peccati degli
uomini - anche i miei - pesano sulla sua Santissima Umanità"
(ibidem, p. 65). Fra questi dolori emerge la solitudine, l'abbandono in
cui è lasciato Cristo: "[Davanti a Pilato] Gesù
è solo. Sono lontani i giorni in cui la parola dell'Uomo-Dio
accendeva luce e speranza nei cuori, le lunghe file di malati che
venivano guariti, i clamori trionfali di Gerusalemme quando il Signore
giunse cavalcando un mite asinello" (ibidem, p. 22).
E
mentre Gesù aspetta di essere crocifisso: "È lo
spogliamento, la svestizione, la povertà più
assoluta. Non è restato nulla al Signore, eccetto un legno"
(ibidem, p. 88). E dopo la crocifissione: "Con Gesù restano
soltanto sua Madre, alcune donne e un adolescente. Gli apostoli, dove
sono? E coloro che furono guariti dalle loro malattie: gli zoppi, i
ciechi, i lebbrosi?... E quelli che lo acclamarono?... Nessuno
risponde! Cristo, circondato dal silenzio" (ibidem, pp. 106-107).
E
prima, alla IX stazione: "Tutti contro di Lui...: gli abitanti della
città e gli stranieri, e i farisei e i soldati e i principi
dei sacerdoti... Tutti carnefici. Sua Madre mia Madre -, Maria, piange"
(ibidem, pp. 79-80). E conclude esclamando; "Dio mio, fa' che io odii
il peccato e mi unisca a Te, abbracciandomi alla Santa Croce, per
compiere anch'io la tua Volontà amabilissima" (ibidem, p.
80). E ora un'effusione di amore a Cristo crocifisso, il triumphus
crucis di Escrivá: "Amo tanto Cristo in Croce, che ogni
crocifisso è come un affettuoso rimprovero del mio Dio:
[...] Io che ti chiedo, e tu... che mi dici di no" (ibidem, p. 98).
Segue
l'esclamazione: "Che belle le croci sulle vette dei monti, in cima ai
grandi monumenti, sul pinnacolo delle cattedrali!... Ma la Croce
bisogna issarla anche nelle viscere del mondo" (ibidem). Di qui il
progetto, quello di un san Paolo di oggi: "Gesù vuole essere
innalzato proprio lì: nel rumore delle fabbriche e delle
officine, nel silenzio delle biblioteche, nel frastuono delle strade,
nella quiete dei campi, nell'intimità delle famiglie, nelle
assemblee, negli stadi... Lì dove un cristiano
può spendere la sua vita onestamente, deve porre col suo
amore la Croce di Cristo, che attrae a Sé tutte le cose"
(ibidem).
Questo
è lo stile di uno che sa vedere lontano, scorgendo Cristo
presente da principio alla fine nell'abisso dei secoli che scorrono;
è lo stile di chi ha offerto la propria vita sacerdotale da
consumare per i fratelli nell'irradiazione della Croce. L'aveva detto a
Gesù egli stesso esplicitamente, con forte dedizione e umile
commozione: "Sono tuo, e mi consegno a Te, e mi inchiodo alla Croce
volentieri, per essere nei crocevia del mondo un'anima dedicata a Te,
alla tua gloria, alla Redenzione, alla corredenzione di tutta
l'umanità" (ibidem, p. 96). Iddio gli ha dato la
soddisfazione - concessa a pochi, a ben pochi anche fra i fondatori che
hanno aperto con maggiore impeto dello Spirito la via a Cristo e alla
Chiesa nel groviglio della storia del mondo - di vedere l'Opus Dei
presente oggi in tutti i valichi, nelle pianure e sui monti dell'uomo
contemporaneo, ormai in tutti i continenti.
Il
segreto di tanta soprannaturale efficacia è rivelato, con
pudore e gioia riconoscente, sempre nella meditazione della
crocifissione di Gesù che stiamo leggendo, ed è
un ritorno del tema essenziale della sua vita di sacerdote e fondatore:
"Dopo tanti anni, quel sacerdote fece una meravigliosa scoperta:
comprese che la Santa Messa è un vero lavoro: operatio Dei,
lavoro di Dio. E quel giorno, nel celebrarla provò dolore,
gioia e stanchezza. Sentì nella sua carne la spossatezza di
un lavoro divino" (ibidem, pp. 98-99). Ed ecco profilarsi,
sull'orizzonte dell'anima, sbigottita ma fiduciosa, il desiderato
conforto: "Anche a Cristo richiese sforzo la prima Messa: la Croce"
(ibidem, p. 99). E subito l'anima si accende nella luce del Segno della
salvezza e prorompe in un invito d'amore: "Prima di cominciare a
lavorare, metti sul tavolo o accanto ai tuoi attrezzi di lavoro, un
crocifisso. Ogni tanto, lanciagli uno sguardo... Quando
giungerà la fatica, i tuoi occhi si volgeranno a
Gesù, e troverai nuova forza per proseguire nel tuo impegno"
(ibidem).
Ecco
il segreto dell'amore, la certezza dell'approdo alla salvezza che non
delude: "Perché quel crocifisso è più
che il ritratto di una persona amata - i genitori, i figli, la moglie,
la fidanzata... -; Egli è tutto: tuo Padre, il tuo Fratello,
il tuo Amico, il tuo Dio, e l'Amore dei tuoi amori" (ibidem).
È il suo testamento spirituale!
Josemaría Escrivá resterà nella storia
della spiritualità cristiana accanto a san Paolo, l'Apostolo
del Nome di Gesù e della sua Croce; a san Bernardino, il
cantore del Nome di Gesù; a santa Teresa di Gesù,
che ha scelto nel suo Nome la trasfigurazione in Cristo della sua
anima, ardente come la terra di Castiglia; all'estatica stimmatizzata
Gemma Galgani, che illumina del Nome di Gesù ogni riga delle
sue lettere e del racconto delle sue estasi... Nell'opera fondata da
Escrivá, che è cresciuta e si espande nella
Chiesa come il granello di senape del Vangelo, si annunzia una nuova
primavera: tutto diventa una "testimonianza" della Croce di
Gesù, un continuo palpito di amore per il suo Nome.
È così che, prima ancora del Vaticano II, egli ha
concepito, con impeto profetico, il posto in prima linea - sotto la
guida della gerarchia - dell'apostolato dei laici, come una vocazione
autentica alla santità.
Per
questo lasciamo ora al lettore attento di proseguire la lettura della
Via Crucis: non soltanto con gli occhi, ma magari con voce sommessa,
facendo ogni tanto qualche piccolo indugio con la mente e con il
cuore... per gustare in memoria cordis la delicatezza forte e la
dolcezza eroica di questo messaggio, così insolito nella
babele della pubblicistica religiosa del nostro tempo.
È
un messaggio, lo ripetiamo, di alta mistica, ma d'impegno pratico alla
portata di ognuno: è la luce di un nuovo mattino che avanza
verso il giorno della Chiesa del futuro. È l'insegnamento
della terza caduta di Gesù sotto la Croce:
"Umiltà di Gesù. Annichilimento di Dio (36)
che ci risolleva e ci esalta" (ibidem, p. 81 ). E ora un bagliore di
fuoco per una nuova Pentecoste di amore: "Capisci adesso
perché ti ho consigliato di mettere il tuo cuore per terra
perché gli altri camminino sul soffice?" (ibidem). Come?
Vivendo la Passione del Signore: la solidarietà di amore con
Cristo nasce dalla partecipazione al suo dolore. Lui innocente e noi
peccatori: "Adesso capisci quanto hai fatto soffrire Gesù, e
ti riempi di dolore" (ibidem, p. 83).
Un'ultima
citazione ancora. Meditando la morte di Cristo sulla Croce, sgorga
l'invito a guardare in alto: "Trova rifugio nelle piaghe delle sue
mani, dei suoi piedi, del suo costato. E si rinnoverà la tua
volontà di ricominciare, e intraprenderai di nuovo il
cammino con maggiore decisione ed efficacia" (ibidem, p. 107). E non
esita a condannare "una falsa ascetica (37) che presenta il Signore sulla
Croce torvo, ribelle" (ibidem), come anche il Cristo morto di Holbein
il Giovane, tutto orrore e spavento (evocato da Dostoevskij nei
Fratelli Karamazov), che minaccia gli uomini. Ed è forse la
prima e unica volta che l'autore esce in una fiera protesta, ma
è una protesta di amore: "Questi tali non conoscono lo
spirito di Cristo. Ha sofferto quanto ha potuto - e, essendo Dio,
poteva molto! -; ma amava più di quanto soffrisse... E dopo
la morte, permise che una lancia aprisse un'altra piaga,
perché tu e io trovassimo rifugio accanto al suo Cuore
amabilissimo" (ibidem).