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Data: 1982
Autore: don Alvaro del Portillo
Fonte: Intervista sul fondatore dell'Opus Dei
Editore: Ares

Le opposizioni e le contrarietà

D - Le contrarietà esterne, per quanto aspre e pericolose, sono, in un certo senso, anche le più "facili" da affrontare. Più difficile è la prova dell'incomprensione, dell'ostilità ingiustificata e preconcetta, magari anche da parte di persone "buone", che appartengono alla Chiesa. Nostro Padre dovette sperimentare l'una e l'altra prova.

R - Per parlare di questo argomento, bisogna innanzitutto sottolineare che di fronte a queste prove il Padre reagì sempre con spirito soprannaturale, perdonando e dimenticando prontamente le calunnie con umiltà, con la massima carità verso il prossimo, con sete di giustizia e silenzioso abbandono alla Volontà di Dio.

Seguendo il suo esempio, quindi, ne accenneremo per sommi capi, lungi da ogni vittimismo e da ogni spirito di rivincita.

Va detto che le incomprensioni cominciarono già all'epoca della fondazione e dei primi passi dell'Opus Dei, nel periodo tra il 1930 e il 1936. Se ne può anzitutto cercare una spiegazione che vada alla radice teologica del problema. In quegli anni ciò che il fondatore vedeva con tanta chiarezza nella sua anima, in virtù di una precisa illuminazione divina, appariva come qualcosa di incredibilmente audace: la chiamata universale alla santità.

L'ho sentito spesso spiegare tale situazione; alla fine degli anni sessanta, una volta lo fece con queste parole: "Quando, più di quarant'anni fa, un povero sacerdote che aveva ventisei anni cominciò a dire che la santità non era solo per i frati, le monache e i preti, ma per tutti i cristiani, perché Gesù Cristo nostro Signore disse a tutti siate santi come il Padre mio celeste è santo... - che si sia scapoli, sposati o vedovi non fa differenza: tutti possiamo essere santi -, ebbene dicevano che quel sacerdote era eretico".

Chi non lo accusava di essere eretico, non esitava però ad affermare che fosse un pazzo: infatti ciò che oggi è dottrina comune, allora appariva agli occhi del mondo come "un disparatón" (un grande sproposito), come diceva a volte il Padre con un'espressione tipica. Inoltre, alla dottrina che predicava si affiancavano l'audacia delle sue iniziative apostoliche e la loro sproporzione con le risorse umane di colui che le promuoveva.

Alla difficoltà nella comprensione teologica del messaggio spirituale portato dal fondatore, bisogna aggiungere le gelosie, le invidie spesso inconsapevoli, la visione ristretta e quasi "monopolistica" della pastorale: il soffio dello Spirito Santo, che sospingeva l'apostolato del nostro fondatore, non poteva non suscitare questo polverone di diffidenze e di ostilità. La storia della Chiesa dimostra che il bene si fa sempre strada a fatica.

Tra la fine del 1939 e gli inizi del 1940 le calunnie contro l'Opus Dei e contro il suo fondatore si inasprirono. Dapprima egli non volle credere di essere il bersaglio di un'autentica campagna denigratoria; ma alla fine, dinanzi all'evidenza delle prove, dovette ammetterlo. L'Opera veniva accusata di eresia, di tramare clandestinamente per raggiungere i vertici del potere, di massoneria, di antipatriottismo, ecc. Non si trattava più di fatti isolati, ma di una vera e propria campagna: coloro che promuovevano queste calunnie non esitavano a propalarle perfino nelle alte sfere della Gerarchia ecclesiastica, cercando di seminare diffidenza e sospetto nei confronti dell'Opera e del Padre.

Una volta il p. López Ortiz, agostiniano, che più tardi fu arcivescovo di Tuy-Vigo e Ordinario castrense per la Spagna, e che allora era il confessore ordinario della nostra Residenza di via Diego de León, a Madrid, diede al Padre la copia di un "dossier riservato" sull'Opera e sul suo fondatore: l'Ufficio informazioni della Falange l'aveva fatto pervenire alle autorità locali e López Ortiz ne era entrato in possesso attraverso una persona di fiducia.

Quel documento era infarcito di calunnie atroci e dava inizio a un'altra campagna diffamatoria contro il fondatore. In esso venivano raccolte tutte le maldicenze divulgate precedentemente. Io assistetti personalmente a quell'incontro e confermo quanto testimonia fra José López Ortiz: "Terminata la lettura, Josemaría, vedendo il mio dolore, si mise a ridere e mi disse, con eroica umiltà: "Non ti preoccupare, Pepe, perché tutto quello che dicono qui, grazie a Dio, è falso: ma se mi conoscessero meglio, avrebbero potuto dire di me, e a ragione, cose molto peggiori di queste, perché io sono solo un povero peccatore che ama pazzamente Gesù Cristo".

E, invece di stracciare quel cumulo di insulti, mi restituì i fogli perché quel mio amico potesse rimetterli al loro posto presso il Ministero della Falange, da dove li aveva presi: "Tieni - mi disse - e restituiscili a quel tuo amico: bisogna che li rimetta al loro posto, se no perseguiteranno anche lui"".

Altre incomprensioni provenivano dalle famiglie, poche in verità, dei ragazzi che frequentavano le attività apostoliche dell'Opera o da quelle degli stessi membri dell'Opus Dei. Quasi sempre all'origine di questi problemi vi era l'azione di alcuni religiosi, che non esitavano a diffondere sospetti e diffidenze: lo facevano persino dal confessionale o recandosi in visita presso le diverse famiglie per metterle sull'avviso.

Più d'una volta il Padre dovette intervenire personalmente per porre rimedio alle falsità divulgate nei focolari dei suoi figli: "Agli inizi dell'Opera, più di trent'anni fa, venivano a trovarmi alcuni genitori... indignati: perché vi era una campagna di calunnie orchestrata da determinati religiosi, ai quali voglio molto bene, e queste povere famiglie ne erano influenzate. Io allora ero un sacerdote giovane - non avevo ancora quarant'anni - e li lasciavo parlare.

Quando avevano terminato, dicevo loro: con le informazioni che avete, anch'io penserei come voi. Sicché ci troviamo d'accordo. Anzi, vi dirò di più; saremmo in tre a essere d'accordo: il diavolo, voi ed io! Poi cercavo di chiarire i loro dubbi e diventavamo sempre buoni amici".

 

D - Padre, lei parla genericamente di "religiosi" e riferisce analoghe espressioni di nostro Padre. Ma queste persone erano ben individuabili, e sappiamo che tutto va fatto risalire all'iniziativa di un gesuita. Da qui le voci di un supposto dissidio tra l'Opus Dei e la Compagnia di Gesù.

R - E' vero, ma non bisogna fare di ogni erba un fascio. La campagna calunniosa effettivamente partì da un gesuita, a quel tempo molto influente dentro e fuori la Compagnia, ma, anni dopo, egli abbandonò lo stato religioso e finì addirittura per apostatare dalla Chiesa.

Il Padre, fin dall'inizio, cercò di fargli capire la natura del nostro lavoro, perdonò di tutto cuore, e addirittura fece in modo di aiutarlo, attraverso membri dell'Opera, quando si trovò fuori dalla Chiesa. Per parlare di quella e delle successive persecuzioni, egli usò sempre un'espressione di santa Teresa: "la contraddizione dei buoni", applicando ai persecutori l'evangelico obsequium se praestare Deo (Gv 16, 2), "ritenendo di rendere culto a Dio". Arrivava a considerare le contrarietà come occasioni di purificazione, e vedendo che vi si impegnavano persone appartenenti ad antiche e gloriose istituzioni della Chiesa, affermava che Dio voleva servirsi di "un bisturi di platino".

Sui rapporti con la Compagnia di Gesù, c'è una risposta del fondatore stesso in un'intervista concessa al corrispondente del New York Times, il 7 ottobre 1966: "Quanto alla Compagnia di Gesù, conosco il suo Generale, il padre Arrupe, e ho buoni rapporti con lui. Posso assicurarle che le nostre relazioni sono di stima e di affetto reciproco.

"Forse le è capitato di trovare qualche religioso che non comprende la nostra Opera. Sarà a motivo di qualche equivoco o per ignoranza sulla realtà del nostro lavoro, che è specificamente laicale e secolare e non sconfina mai nel terreno proprio dei religiosi. Noi abbiamo venerazione e affetto per tutti i religiosi, e preghiamo il Signore che renda ogni giorno più efficace il loro servizio alla Chiesa e all'umanità intera. Non ci saranno mai contese tra l'Opus Dei e i religiosi, perché per disputare bisogna essere in due, e noi non vogliamo lottare contro nessuno" (Colloqui, n. 54).
Questa è stata la sua costante regola di condotta, e continua a essere la nostra.

 

 

 

Alvaro del Portillo